Maurizio de Giovanni racconta il suo Caminito
Caminito è l’ultimo romanzo di Maurizio de Giovanni edito da Einaudi.
Una nuova struggente storia coinvolge l’amato commissario Ricciardi il quale affronta un’indagine per un delitto che sembra passionale ma non lo è. Troppo semplice se fosse solo questo. Come, infatti, accade nei romanzi di de Giovanni, quello che appare come il nodo principale da districare è accompagnato e circondato da tante altre vicende che ne fanno un’avvincente e appassionante lettura. Con il suo stile, che è quello di un vero scrittore, de Giovanni non fa preamboli o introduzioni, non prende tempo né spazio. La storia c’è e la racconta da subito.
Sin dalle prime pagine il lettore viene immerso nella dimensione del racconto, nella sua consistente densità. Scopre subito che sono accaduti degli eventi, che sono state compiute delle scelte importanti di cui verrà messo a conoscenza nel dettaglio durante la lettura ricostruendo e ricollegando egli stesso i fili.
Trascorsi cinque anni da quando i lettori avevano lasciato il Commissario lo si ritrova rinnovato nello spirito e nel dolore. Nello spirito in quanto nella sua vita sono comparse nuove persone, nel dolore perché il Fatto non lo ha abbandonato, anzi gli causa una nuova grandissima preoccupazione. I tempi sono cambiati, in Italia si è affermato il fascismo che tiene un ruolo di primo piano nella vita dei personaggi manipolando le loro esistenze e il loro futuro. Il luogo e il tempo del romanzo sono rappresentati dalla storia d’Italia.

Ho letto tutti i suoi libri, non solo quelli dedicati al commissario Ricciardi. Questa volta ho notato alcune peculiarità dei personaggi di cui mi piacerebbe parlarle. Mi è sembrato che abbiano un ruolo diverso, più maturo. Mi spiego meglio: durante la lettura ho percepito un affiancamento deciso dei vari personaggi al protagonista, come se ognuno di loro fosse sua volta diventato il protagonista di una storia personale che viene inserita nel contesto della vicenda non coinvolgendo in maniera diretta Ricciardi. Avevo avuto questa impressione con le storie di Sara e l’ho ritrovata leggendo Caminito. Ad esempio Livia, che occupa il primo capitolo nel libro, e poi il brigadiere Maione e il dottor Modo, personaggi che da sempre affiancano il Commissario ma che questa volta mostrano una loro identità con problemi personali molto seri da risolvere. Anche la nuova, giovane governante Nelide che inizialmente sembrava una semplice sostituta acquisisce una nuova veste, importante per il Commissario come lo era stata sua zia ma di più, è una figura di spicco che qualche volta fa anche sorridere. Non so se può confermare questa mia impressione.
La sua è una considerazione correttissima. In effetti già da tempo, e con questo nuovo romanzo ancora di più, c’è maggiore indipendenza dei personaggi. Quando si può dare per scontata la costruzione di un universo, si possono anche cambiare le prospettive. Mi spiego: nei primi romanzi di una serie, quando c’è un personaggio centrale come nel caso di Ricciardi o anche in quello di Sara, e di Mina Settembre, mentre un po’ meno nei Bastardi poiché c’è più coralità sin dall’inizio, man mano che le storie procedono si assiste alla presentazione dei personaggi secondari, per cui possono essere seguiti anche nelle vicende personali e non solo in relazione alla figura del protagonista. Ciò accade tanto più in questo romanzo perché dà inizio a un nuovo ciclo, dà luogo a una nuova posizione di Ricciardi e delle sue storie. Diciamo che, in linea di massima, quando una serie è matura, e quella di Ricciardi lo è, si possono dare per fatte certe ipotesi di conoscenza e continuare con una maggiore identificazione dei singoli personaggi.
Lei ha una mente geniale e, come tale, può anche essere breve e distante la scintilla da cui nasce una nuova storia ma, come tiene spesso a sottolineare, lei è innanzitutto un grande lettore. Come ha scoperto il vero Caminito, il tango scritto da Gabino Coria Peñaloza e ha pensato da subito di inserire Livia in quel contesto?
Innanzitutto la ringrazio per il bel complimento che è un meraviglioso eufemismo per definire la follia! Io ho la convinzione che le musiche del sud del mondo, quindi non solo il Tango ma anche la Bossanova e il Fado, abbiano una comune radice con la musica napoletana classica e questa è composta dalla coesistenza della malinconia, della nostalgia, della speranza e dell’amore. Questo tipo di musica trova una corrispondenza proprio nella figura di Livia. Alla fine de Il pianto dell’alba, l’abbiamo vista fuggire dall’altra parte del mondo dove si è rifugiata per paura del regime, della situazione politica che si era creata nonché del possibile coinvolgimento in un omicidio che la faceva apparire negativa nei confronti della politica vigente e ho approfittato della sua presenza in un paese dell’altro emisfero per creare una sorta di filo conduttore.
Mi interessava molto l’inversione delle stagioni e cioè il fatto che lì aprile fosse in autunno e qui in primavera, quindi la coesistenza dello stesso mese in positivo e in negativo, poi mi piaceva l’idea di questo tango che è stato composto in due tempi: la musica è stata scritta nel 1923 mentre le parole nascono nel 1926. Quindi proprio questa differenza di scintilla artistica tra musicista e poeta mi sembrava molto stimolante. Caminito, del resto, ha il senso di questa stradina, di questo vicolo, per cui raccontarlo in maniera ricorrente mi sembrava un bel filo conduttore topografico per unire le varie storie dei personaggi e per dare organicità e una certa coesione al romanzo.
Il suo è un lavoro costante e inesauribile: tralasciando il fatto che molti suoi romanzi gialli sono diventati serie televisive, lei è uno scritture per l’editoria, per il teatro e lo scorso anno lo è diventato anche per il cinema. Ad esempio Il silenzio grande scritto per il teatro, è diventato un film per la regia di Alessandro Gassman. Conosce, quindi, attori come quest’ultimo citato o Sergio Castellitto, Lino Guanciale come anche attori che interpretano magnificamente le sue commedie in teatro. Ci vuole raccontare qualcosa sui rapporti con gli attori?
Ho un rapporto straordinario con gli attori. Sono fantastici e mi reputo molto fortunato ad avere professionisti di livello altissimo che interpretano i miei scritti. Questo vale sia per il teatro che per il cinema che per la televisione e, quindi, essendo uno che non interferisce nella condivisione delle proprie storie e soprattutto lascia massima libertà di interpretazione a tutti, sia agli attori che ai registi, sono davvero incantato dal loro lavoro. Questo porta ad essere molto positivo e anche al fatto che gli attori sono molto affettuosi nei miei confronti. C’è un rapporto di amicizia e di affetto enorme. Ho avuto Marco D’Amore per cui ho scritto American Buffalo, Daniele Russo che interpreta in teatro la mia rivisitazione di Qualcuno volò sul nido del cuculo, ma anche Antonio Milo e Adriano Falivene che interpretano Mettici la mano. Abbiamo un rapporto strettissimo, molto forte. Qualcuno di loro mi prende anche in giro. Ad esempio Gianfelice Imparato, che interpreta Pisanelli, ogni tanto mi telefona e mi chiede «Come sto?», nel senso di come sta il suo personaggio per prepararsi all’interpretazione della nuova stagione! Ci divertiamo anche così.
Vorrei farle anche una domanda che riguarda un altro suo libro L’equazione del cuore in cui la scienza esatta per eccellenza, la matematica, e il più irrazionale dei sentimenti, l’amore, si incontrano in una storia bellissima, intrigante e commovente che indaga sui rapporti umani. Una relazione assolutamente speciale come può essere quella che si instaura tra nonno e nipote. Come si sono uniti razionalità e amore nel suo romanzo?
Ogni storia ha una sua autonomia, un suo equilibrio e una sua indipendenza. Non importa da che cosa parta, quale sia l’input iniziale e l’interazione tra i personaggi, che sviluppano indipendentemente la loro interazione. Lo scrittore è un allenatore, mette in campo la squadra e lo fa secondo quella che gli sembra la lettura migliore, però poi c’è un’assoluta indipendenza da parte dei personaggi che si muovono assolutamente sulla base delle proprie caratteristiche, come dotati di volontà propria. L’equazione nasce da un’idea però poi ha uno sviluppo tutto personale, tutto diretto a un personaggio come Massimo Del Gaudio di cui sono molto contento perché è un personaggio che sembra bidimensionale ma che ha tutte le altre dimensioni man mano che va avanti e le prende bene, con grande forza.
Grazie Maurizio De Giovanni per la sua disponibilità.
Grazie a lei.

Maria Paola Battista, Sociologa, editor e giornalista, scrive recensioni di libri e interviste agli autori per varie testate.