Modi di fare nell’Oriente Antico

(Parte Prima)

Il lutto delle vedove nella tradizione ebraica…


… Le cattive di Matera.

            Non sappiamo quanto tempo durasse il lutto della vedova. In mancanza di «levir» poteva rimaritarsi fuori della famiglia (Rut 1, 9); nell’attesa ritornava alla casa di suo padre (Rut 1, 8; Gn 38, 11); indossava una veste di lutto (Gn 38, 14; 2 Sam 14, 2; Gdt 8, 5 e 10, 3).

Così in Giuditta (8, 4‐6): “Giuditta era rimasta nella sua casa in stato di vedovanza ed erano passati già tre anni e quattro mesi; si era fatta preparare una tenda sul terrazzo della sua casa, si era cinta i fianchi di sacco e portava le vesti delle vedove; da quando era vedova digiunava tutti i giorni, eccetto le vigilie dei sabati ed i sabati, le vigilie dei noviluni ed i noviluni, le feste ed i giorni di gioia per Israele”.

            A Pisticci (una cittadina di antichi coloni greci, in provincia di Matera, che conserva anche nel nome la memoria delle sue origini), le vedove ‐ così mi ha raccontato il mio amico Carlo Montano che vi abita ‐ hanno il nome di «cattive». Vestite di nero osservano il periodo di vedovanza recluse in casa: non sono «cattive» nel senso comunemente attribuito al termine, ma «captivae» nel significato di origine latina, cioè «prigioniere» del loro lutto.


La lamentazione funebre presso gli Egizi

Così Erodoto (Storie, II, 85, trad. di A. D’Accinni): “Le lamentazioni funebri si svolgono in questo modo: quando muore un congiunto, che goda anche una certa considerazione, tutte le donne della casa sogliono imbrattarsi di fango la testa o perfino il volto e, lasciato in casa il morto, aggirandosi per la città si percuotono, in vesti succinte e scoprendosi il seno, e con esse tutte le parenti; dall’altra parte si percuotono gli uomini, anch’essi in vesti succinte; dopo aver compiuto questi riti, allora portano la salma all’imbalsamazione”. 


Le manifestazioni del lutto in Israele

All’annuncio della morte si stracciavano le vesti, poi s’indossava il «sacco», un panno grezzo e rude posto a contatto diretto della pelle, si scopriva il capo e si copriva la barba o si velava l’intero viso; si portavano le mani sulla testa; ci si rotolava o sdraiava nella cenere, ci si rotolava a terra nella polvere o si spargeva terra sul capo; non ci si lavava né ci si profumava; ci si scalzava; non si preparavano vivande; vicini, amici o parenti recavano ai familiari del defunto «il pane del lutto e la coppa della consolazione» (il cosiddetto «consòlo» o «cuònsolo» come si dice ancora oggi nel nostro meridione) e partecipavano al pasto funebre, “spezzando il pane dell’afflitto” (Ger 16, 5‐8) e sedendo per mangiare e bere con loro; in seguito, per tutto il periodo del lutto, “in giorni stabiliti” (Gdt 8, 6) veniva osservato il digiuno. Il lamento era l’espressione più consistente dei riti funebri: poteva essere un grido acuto e ripetuto ad intervalli o poteva prodursi in canti a ritmi peculiari. Alla lamentazione partecipavano sia uomini che donne, in gruppi separati. Esistevano lamentatrici di professione (ancora oggi nel nostro meridione); «fare il lutto» significava eseguire la lamentazione.

Nei giorni del lutto si consumavano lenticchie: “Questo cibo simboleggia la morte: come la lenticchia ha la forma di una ruota, così la morte, il dolore e il lutto ruotano fra gli uomini, passando dall’uno all’altro” (L. Ginzberg, Le leggende degli ebrei, II, pag. 130).

In occasione della morte di Sara gli Ebroniti avevano tenute chiuse le botteghe” (L. Ginzberg, ibidem, II, nota 266, pag. 278).

Recandosi in visita in una casa in lutto è buona norma parlare solo dopo che l’hanno fatto i congiunti” (L. Ginzberg, ibidem, III, nota 33, pag. 285).

Altre manifestazioni di cordoglio erano in uso nell’area palestinese ed espressamente vietate dalla Torah. Così Levitico (19, 27‐28): “Non vi taglierete in tondo i capelli ai lati del capo né deturperai ai lati la tua barba; non vi farete incisioni sul corpo per un defunto né vi farete segni di tatuaggio”. Così Mosè (Dt 14, 1): “Non vi farete incisioni e non vi raderete tra gli occhi per un morto”. Sul divieto di praticare incisioni sul corpo insiste anche Geremia (cfr. 41, 5).


Gilgamesh per la morte di Enkidu

Enkidu, amico mio!

Piangano per te gli uomini, come è costume delle donne;

possano essi sciogliere i loro capelli su di te.       

Per te, Enkidu, come [fossi] tua madre e tuo padre,

io piangerò amaramente nella loro steppa.

Ascoltatemi, o giovani uomini, ascoltatemi!

Ascoltatemi, o anziani di Uruk, ascoltatemi!

L’ascia del mio fianco, l’arma del mio braccio,

la spada della mia guaina, lo scudo del mio petto,

i miei vestiti festivi, la mia cintura regale,

uno spirito cattivo è venuto e me li ha portati via.

Allora ricopre la faccia del suo amico come quella di una sposa;

come un’aquila comincia a volteggiare attorno a lui;

come una leonessa, i cui cuccioli sono stati presi in trappola,

egli va avanti e indietro;                                        

si scompiglia e fa ondeggiare la chioma fluente;

si strappa e getta via i gioielli, come se fossero tabù.

(Sinleqiunnini, Tav VIII, versi 37‐64; G. Pettinato, La Saga di Gilgameš, pag. 86-87)


A proposito del modo di consolare nella tradizione egizia

Io consolo coloro che piangono,

sollevo i loro volti raccolti nelle mani,

voi che siete in preda alla disperazione…

(Libro dei morti, Cap. LXXX)


La morte collettiva di familiari e cortigiani di Gilgamesh

La sua sposa prediletta, i suoi figli prediletti,

la sua prima sposa, la sua seconda sposa, i suoi cari,

il suo cantore prediletto, il suo musicista prediletto, il suo [   ],

gli ufficiali che attraversavano in tutti i sensi il palazzo, i suoi oggetti preferiti…

dopo che essi si furono coricati ai suoi lati, nel posto stesso che essi avevano avuto nel palazzo esemplare, al centro di Uruk,

Gilgamesh, pensando ad Ereshkigal, presentò i doni richiesti…

L’Eufrate restò aperto e la sua acqua fu defluita,

tanto che il sole poteva contemplare le conchiglie del suo letto…

Fu costruita la tomba in pietra,

si costruirono le mura in pietra,

si montarono le ante sulla pietra del portale.

Il chiavistello e la soglia erano di pietra dura;

le pareti erano di pietra dura,

si sistemò il tetto d’oro.

Sull’entrata fu appoggiato un pesante blocco di serpentina;

si sparse una pesante coltre di terra nera…

L’Eufrate fu riaperto, le sue acque rifluirono.

(La morte di Gilgameš, redazione di Me Turan, versi 247-291)


La morte collettiva presso gli Sciti

“Le tombe dei re sono nel paese dei Gerri, nel luogo fino al quale il Boristene [il Dnepr] è navigabile; là, quando muore il re, scavano una grande fossa quadrangolare […]. E poi, dopo aver deposto il cadavere nella tomba, seppelliscono, dopo averla strangolata, una delle concubine del re ed un coppiere ed un cuoco e cavalli; trascorso un anno, fanno di nuovo questo: presi i migliori fra i servi del re, strangolati cinquanta di questi servi ed i cinquanta cavalli più belli issano ciascuno dei cinquanta giovani strangolati su un cavallo; dopo aver deposto intorno alla tomba siffatti cavalieri, si allontanano” (Erodoto, Storie, IV, 71‐72, traduz. di A. D’Accinni).


La morte collettiva presso gli Inca

“Gli Inca credevano che dopo la morte i loro imperatori diventassero dèi e, attenendosi ad antiche pratiche funerarie, sacrificavano e mummificavano qualcuna delle mogli e delle concubine e alcuni servi dell’imperatore stesso” (Reid Howard, Il mistero delle mummie, pag. 202).


Del modo di radersi i capelli… e l’origine della tonsura

“I Maci [una popolazione libica] si radono i capelli a mo’ di cresta, lasciando crescere la parte centrale dei capelli e tosando ai lati […]; i Macli si lasciano crescere i capelli nella parte posteriore della testa, gli Ausei invece nella parte anteriore […]; i Massi si lasciano crescere i capelli sulla parte destra della testa, la parte sinistra invece la radono […]” (Erodoto, Storie, IV, 175 e 180 e 191).

“I sacerdoti degli dèi negli altri paesi portano i capelli lunghi, in Egitto invece si radono; gli altri uomini hanno la consuetudine, in occasione di un lutto, di radersi la testa, gli Egiziani invece lasciano crescere i capelli e la barba (Erodoto, ibidem, II, 36, 1).

Nella tradizione ebraica radersi il capo era una manifestazione di cordoglio: “Non vi taglierete in tondo i capelli ai lati del capo né deturperai ai lati la tua barba” (Lv 19, 27). Anche nella tradizione araba solo in situazioni particolari bisognava radersi il capo: “E radetevi il capo” (Cor 2, 196).

            La tonsura era un simbolo della condizione clericale comparsa nel V secolo; fu mutuato dai monaci; questi, verosimilmente, dai sacerdoti di Iside (H. Küng, Cristianesimo, pag. 218‐219)

Domenico Casale, cardiochirurgo di professione e contadino per passione, esperto di mitologia e testi sacri multiculturali, scrittore.

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