Monuments men

E’ il titolo di un film del 2014 con George Clooney ed altri noti attori in cui si racconta la storia un po’ romanzata di un gruppo di esperti d’arte che nel corso della II guerra mondiale andarono alla ricerca dei tesori rubati dai Nazisti nei Paesi occupati.

Nella realtà i Monuments men furono un gruppo formato da 345 uomini e 14 donne: architetti, bibliotecari, storici dell’arte che si arruolarono nell’esercito anglo-americano per recuperare le opere d’arte, soprattutto quelle rubate e nascoste dai Tedeschi destinate ai Musei o alle collezioni personali di Hitler e degli altri Capi nazisti.

Il fenomeno delle spoliazioni delle opere d’arte non era nuovo: basta, infatti, pensare a quelle effettuate da Napoleone Bonaparte dal 1797 al 1815 cioè in quei vent’anni in cui l’esercito francese saccheggiò Italia, Spagna, Prussia e altre Nazioni che passarono sotto il dominio dell’aquila imperiale napoleonica.

Fu il più grande saccheggio di opere d’arte della storia: in Italia furono rubati tesori come i Cavalli di bronzo di San Marco a Venezia, trasportati a Parigi per incoronare <<L’Arc Du Carousel>> davanti al Museo Napoleon (oggi Louvre), in cui furono collocati i tesori presi allo Stato Pontificio, come l’Apollo del Belvedere, il Laocoonte, il Discobolo, quadri di Raffaello, manoscritti medievali. I Francesi avevano tentato persino di rimuovere gli affreschi di Raffaello nelle Stanze Vaticane, per portarli a Parigi, tentativo che però fu fortunatamente impossibile da attuare.

Tutta Italia fu saccheggiata e opere di Mantegna, Veronese, Giotto insieme ad altri capolavori presero la via della Francia. Anche il Regno di Napoli subì le spoliazioni di alcune statue trovate ad Ercolano e di altre opere che non sono più tornate come un Cimabue, Luca Giordano, Ribera. Tantissime opere non sono state restituite all’Italia e si trovano ancora in Francia.

Quando Bonaparte fu definitivamente sconfitto le Potenze vincitrici al Congresso di Vienna stabilirono la restituzione ai Paesi d’origine di tutte le opere d’arte che erano state rubate: Prussia, Spagna, Belgio, Austria si attivarono subito per recuperare i loro tesori, nonostante la resistenza operata dai Funzionari francesi, mentre gli Stati italiani, considerando anche i notevoli costi previsti per le spedizioni di tante opere si mossero lentamente ad eccezione dello Stato della Chiesa che mandò il famoso scultore Antonio Canova in Francia per recuperare i tesori sottratti da Napoleone.

Pio VII scelse Canova che dal 1802 era Ispettore generale delle antichità e delle arti dello Stato della Chiesa per questo difficile compito, e mentre gli altri Stati avevano recuperato i loro capolavori grazie alla minaccia delle armi, Canova vi riuscì grazie alla sua fama e alla sua diplomazia: alla fine del suo incarico spedì a Roma una carovana di 41 carri, trainati da 200 cavalli che trasportavano 249 capolavori e così il Laocoonte, l’Apollo del Belvedere e la Trasfigurazione di Raffaello possono essere ammirati nei Musei Vaticani oggi per merito di Canova che può essere considerato il primo Monuments Man!

Più di cento anni dopo, un altro immenso saccheggio interessò le Nazioni occupate dai Nazisti nel corso della II Guerra mondiale: quadri, oreficerie, sculture, manoscritti, avori, armature furono rubati ai Musei e a privati, soprattutto Ebrei, ma quando l’offensiva alleata mise in pericolo i depositi in cui erano conservate le opere d’arte raccolte in Germania, Hitler ordinò di nasconderle nelle miniere di salgemma.

Ecco la loro vera storia.

Nel 1944 la Germania aveva accumulato una quantità tale di tesori depredati che fu necessario distribuire in diversi luoghi le opere d’arte spedendole nei monasteri e nei castelli fra i quali quello famoso di Neuschwanstein, costruito dal visionario Ludwig II di Baviera: qui conservarono le straordinarie opere di oreficeria sottratte ai banchieri Rothschild, migliaia di quadri fra cui le Tre Grazie di Rubens, per un totale di 21903 opere d’arte.

Intanto l’aviazione inglese intensificava i bombardamenti sulla Germania e Hitler capì che bisognava nascondere tutti i tesori in posti sicurissimi come certe miniere profonde in zone prive di interesse militare da parte degli Alleati.

Insieme alle opere d’arte furono trasferite tonnellate d’oro nella miniera di sale di Merkers in Turingia a centinaia di metri sotto terra.

Quando gli Alleati sconfissero la Germania questo fu il primo deposito scoperto per caso dagli Americani.

Due poliziotti in un controllo del territorio trovarono due deportate che cercavano una levatrice: i militari aiutarono le donne le quali li informarono di aver visto grossi movimenti di soldati che trasportavano materiale nella miniera e doveva essere roba assai importante, così scendendo sotto terra gli Alleati trovarono l’oro e capirono che le miniere di sale erano posti ideali per la conservazione dei tesori a causa della loro umidità permanente. Trovarono i lingotti d’oro e in gran silenzio, essendo la zona assegnata al controllo dei Russi, li portarono via di nascosto, pensando di utilizzarli per la ricostruzione nel dopoguerra, ma in verità si ignora che fine abbia fatto questo tesoro: scomparso.

Un altro deposito che conservava i più grandi capolavori era quello di Altaussee, una miniera di sale in Austria in cui Hitler fece concentrare i tesori che aveva raccolto per la propria collezione personale destinati al Museo di Linz, città poco distante dal luogo dove era nato, Braumau am Inn, e che a seguito dei bombardamenti andavano protetti in luogo introvabile in attesa della vittoriosa controffensiva tedesca.

In questa miniera furono nascosti fra le migliaia di opere il più famoso quadro dell’arte fiamminga sottratto a Gand e cioè <<L’Adorazione dell’Agnello mistico>> dei fratelli Van Eych, una pala d’altare simbolo del Belgio; la Madonna in marmo di Michelangelo presa a Bruges; Rembrandt; Pittori della Scuola olandese del Seicento; la collezione del Museo di Napoli comprendente opere di Tiziano, Raffaello, Brueghel ecc., inviata a Monte Cassino per sicurezza , ma intercettata durante il suo trasferimento in Vaticano: 6577 tele oltre a disegni, stampe, acquarelli.

Intanto gli Alleati cercavano tutte le opere nascoste per restituirle ai Paesi depredati per ridare orgoglio alle Nazioni saccheggiate e fiducia nella loro collaborazione per la ricostruzione post-bellica.

Era un brancolare nel buio perché nessuno sapeva dove si trovavano le opere d’arte, si diceva che si trovavano qua e poi là, una caccia al tesoro senza un’idea, ma si decise di partire subito alla ricerca dell’Adorazione dell’Agnello Mistico, che essendo stato da pochi mesi trasferito da Gand poteva aver lasciato tracce recenti: un mercante di quadri lussemburghese riferì al Capitano Posey, capo dei Monuments men, di aver sentito che una miniera di sale serviva da deposito, ma non sapeva dove si trovava.

Fu uno studente d’arte ad informare Posey dell’esistenza di una miniera di sale ad Altaussee: bisognava fare presto perché secondo gli accordi fra i vincitori quella miniera era destinata a zona di controllo dei Russi.

Il comandante austriaco della Regione aveva nel frattempo ricevuto un ordine ambiguo da Hitler: impedire ad ogni costo che i tesori cadessero in mani nemiche e che gli stessi andavano protetti, mentre su alcuni camion arrivarono otto casse di bombe da 50 chili che dovevano far saltare la miniera, coprendo tutte le opere d’arte per impedire che cadessero in mani nemiche.

Una volta individuata la miniera in cui erano stati nascosti i tesori, pur non sapendo quali, i partigiani austriaci pensarono di deporre piccole cariche di esplosivo nelle gallerie, in modo che provocando le frane i tedeschi non avessero il tempo di accedervi per far saltare tutta la miniera e distruggere le opere d’arte. Ma il problema era: come entrare nella miniera che era difesa dai soldati?

Allora ci si ricordò di un omino modesto, un restauratore tedesco che lavorava nella miniera: era una persona tranquilla, innamorato solo del suo lavoro e indifferente alle idee del Nazismo. Quando gli dissero che c’era il rischio che i Tedeschi, in prossimità dell’arrivo degli Alleati, distruggessero tutti i capolavori conservati nelle viscere della montagna, si ribellò all’idea della distruzione di un patrimonio così prezioso per l’umanità e accettò di collaborare.

L’omino che si chiamava Sieber dopo due anni di lavoro nelle gallerie, attraversate anche dai binari di un trenino che portava le opere d’arte, conosceva ogni angolo della miniera, per cui ne disegnò le piante, consegnandole ai partigiani.

Questi gli procurarono la dinamite e quest’uomo insospettabile e mite portò l’esplosivo nella miniera collocandola nei posti giusti: assolse bene al suo compito e fece esplodere le gallerie, isolando i tesori dalle bombe che avevano preparato i Nazisti per far saltare la miniera.

Intanto gli Alleati correvano verso la miniera non preoccupandosi neppure di far prigionieri lungo il percorso i soldati nemici che si volevano arrendere. Bisognava fare presto, prevedendo anche la resistenza da parte dei militari delle S.S. messi a difesa di Altaussee: una volta arrivati, i militari tedeschi, ormai stanchi della guerra, alzarono subito le mani.

I primi soldati che arrivarono vicino alla miniera stesero un cordone di sicurezza in attesa che arrivassero il Capitano Posey ed i suoi Monuments men: quando questi arrivarono si trovarono dinanzi alle frane, ma aiutati dai minatori austriaci in 24 ore aprirono un passaggio e finalmente arrivarono davanti alle porte di accesso. Con lampade di acetilene illuminarono man mano i sotterranei, passando da camera a camera, e si trovarono dinanzi alla caverna di Alì Babà: migliaia e migliaia di tesori e quadri allineati, scrigni pieni di gioielli, un patrimonio straordinario dell’abilità e dell’ingegno di grandi artisti.

Era ogni volta una sorpresa, poiché non si sapeva cosa vi fosse nascosto, quando ecco che davanti ai loro occhi apparvero L’Adorazione dell’Agnello mistico, la Madonna di Michelangelo, i gioielli dei Rothschild: l’emozione fu incredibile e i Monuments men cominciarono a spedire nel centro di raccolta di Monaco i capolavori per individuarne i legittimi proprietari.

Non tutto è stato recuperato, si favoleggia di caverne in cui si trovano ancora treni pieni di oro e opere d’arte, ma purtroppo nella confusione del dopoguerra molti capolavori ritrovati finirono al mercato nero e venduti a mercanti, privati o addirittura sottratti da quelli che avevano partecipato alla Guerra, che hanno depredato capolavori esistenti nei musei tedeschi come il Tesoro di Priamo trovato da Schliemann a Troia e che riapparve improvvisamente nel 1993 al Museo Puškin di Mosca. La Germania ne ha chiesto la restituzione ma i Russi lo considerano parte del risarcimento dovuto dai tedeschi per i danni causati durante la guerra alla Russia.

Sergio Giaquinto, Giurista, già Dirigente Amministrativo della A.O. dei Colli, cultore di Storia e Archeologia.

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