Nella mente del soldato

Novembre 1, 2022 by Nessun commento

Un veterano del Vietnam scrisse un biglietto e lo attaccò ad una vecchia foto sgualcita che ritraeva un giovane soldato vietnamita ed una bellissima bambina. L’aveva presa dal portafoglio di un uomo che aveva ucciso in battaglia. Vent’anni più tardi il veterano depose ai piedi del  Veterans’ Memorial di Washington la foto ed il biglietto che diceva così:

“per 22 anni ho portato la tua foto nel mio portafoglio. Avevo solo 18 anni il giorno in cui ci siamo fronteggiati su quel sentiero a Chu Loi, in Vietnam. Perchè tu non abbia preso la mia vita, non lo saprò mai. Mi fissasti a lungo, imbracciando il tuo AK 47, ma non sparasti. Perdonami per aver preso io la tua vita, come ero stato addestrato a fare.

Molte volte negli anni ho guardato la foto tua e di tua figlia, immagino. Ogni volta mi sono sentito bruciare dentro per il dolore e la colpa. Adesso anche io ho due figli…Penso a te come ad un valoroso soldato che difendeva la sua patria. Più di tutto, oggi, so rispettare l’importanza che la vita aveva per te. Suppongo sia la ragione per cui oggi sono qui. È tempo che io continui la mia vita, deponendo il mio dolore e la mia colpa. Perdonami, Signore.”

Il signor High, invece, viveva a Oceanside, negli Stati Uniti. e non poteva sopportare l’odore di una grigliata di carne. Durante la seconda guerra mondiale era stato ufficiale addetto al recupero dei caduti. Lui e la sua squadra recuperarono più di 1.700 corpi dalle prime linee in Francia, Belgio, Germania e Cecoslovacchia. High ricordava che la cosa peggiore per lui erano le battaglie di carri armati. Se un carro veniva colpito ed incendiato, bisognava aspettare che si raffreddasse e ci volevano anche due o tre giorni. Appena il carro si era raffreddato, High ed i suoi si avvicinavano, aprivano i portelli e cercavano di prendere almeno una parte dei poveri resti. Se erano fortunati, trovavano un braccio, una gamba o un piede, a volte persino un cranio. “Ancora oggi “ raccontava High, ”non posso nemmeno pensare di usare un barbecue, perchè mi ricorda l’odore e l’orrore della carne bruciata”.

Nicolai era invece un russo che aveva combattuto in Cecenia. Era nelle unità speciali alle dipendenze del GRU, il servizio segreto militare. Appena congedato, ha continuato a dormire per mesi sul pavimento della sua piccola casa, avvolto nel suo sacco a pelo. Non riusciva a prendere sonno facilmente, abituato a vivere sotto le armi in perenne tensione, nel timore e nell’attesa di una improvvisa apparizione del nemico, rappresentato dai fondamentalisti islamici della guerriglia cecena. Ritornato ad essere un civile, continuava inoltre a camminare per strada sentendosi indifeso e vulnerabile e guardandosi intorno con circospezione e sospetto, quasi fosse ancora nei territori ostili delle sue missioni di guerra.

Tre storie, tre vicende umane tristissime. Un unico minimo comune denominatore: la guerra.

Ed a causa della guerra, attacchi di panico, ansia, tendenze suicide, aggressività ingiustificata, depressione, incubi, insonnia……

Nel corso della prima guerra mondiale molti uomini vennero colpiti da quello che gli inglesi definirono “shock da combattimento”. Ricoverati nei manicomi, entravano in contatto con psichiatri che non sapevano come affrontare questa nuova patologia di massa che colpiva un numero enorme di combattenti e di reduci. Spesso venivano applicate terapie inadeguate ed addirittura dannose, nella speranza di rispedire al più presto i soldati al fronte. In tantissimi persero il senno in via definitiva, altri portarono per tutto il resto della vita gli occhiali scuri perchè non riuscivano più a sopportare la luce, altri ancora soffrirono per sempre di tachicardia, senza che fosse possibile, in base alle conoscenze mediche del tempo, porvi rimedio alcuno.

Per la prima volta, insomma, ci si rendeva conto che la guerra poteva colpire anche in maniera indiretta e far ammalare gli uomini o farli impazzire. La guerra diventava, così, una delle cause che potevano far nascere la malattia in migliaia e migliaia di combattenti. Una costatazione mai fatta prima e che nasceva dalla dimensione totalmente alienante dei campi di battaglia e dei nuovi strumenti di morte utilizzati nei conflitti contemporanei che quotidianamente divoravano, in una fornace apocalittica, centinaia di migliaia di uomini.

E così la psichiatria e la scienza medica incominciarono ad occuparsi della materia in termini di preoccupata necessità ed iniziarono ad essere allestiti, vicino alla linea del fronte, ospedali in grado di accogliere anche gli “shell shocked soldiers”, come dicevano gli inglesi, ovvero le vittime dello “shock da granata”, termine con cui veniva genericamente definito il trauma psichico derivante dall’esperienza disumana del campo di battaglia, ambiente per definizione inospitale, infetto, tossico, corrosivo e distruttivo a livello fisico e psichico, intriso di lacrime, di sangue, di urine, di feci, di dolore e di morte.

Ma furono le sconvolgenti vicende del secondo conflitto mondiale e delle guerre di Corea e del Vietnam a portare, soltanto nel 1980, al riconoscimento  definitivo, in campo psichiatrico, del “ disturbo post traumatico da stress”, a seguito degli studi sempre più accurati e completi condotti sui reduci di guerra che accusavano sintomi di intensità e gravita diversa, caratterizzati da forte depressione, problemi cognitivi, perdita del sonno, allucinazioni e, nei casi più gravi, dalla presenza di pulsioni anomale distruttive ed autodistruttive e da tendenze suicide.

Fu coniato, così, il termine medico PTSD (Post-Traumatic Stress Desorder) che venne ulteriormente approfondito grazie agli studi più recenti sui reduci dai conflitti in Iraq ed in Afghanistan e sui veterani delle missioni cosiddette “di pace”, in tutte le loro molteplici declinazioni.

Un segmento della medicina, della psichiatria e delle neuroscienze che viene continuamente aggiornato anche al di fuori della sua originaria caratterizzazione legata ad eventi bellici, perchè deve essere esteso alla condizione di coloro che si trovano ad aver vissuto qualunque tipo di evento traumatico o che possono entrare in contatto con eventi tali da richiedere adeguata preparazione psicologica preventiva, per limitare e circoscrivere gli impatti negativi sulla psiche.

Oggi più che mai, infatti, in un mondo caratterizzato da continui squilibri, occorre sviluppare il massimo di conoscenza per tenere sotto controllo tutte le possibili variabili e tutte le possibili conseguenze dei traumi psichici che possono colpire la nostra fragilità di uomini. Il combattimento, infatti, è sempre dietro l’angolo delle nostre vite quotidiane e non sempre assume la forma del campo di battaglia, ma spesso, molto spesso si nasconde, si maschera, nei modi, nelle forme e nelle declinazioni più inattese ed imprevedibili, per esplodere improvvisamente con devastante violenza.

È il problema di una società sempre più disancorata e priva di coordinate esistenziali che naviga a vista, incontrando i mostri della propria cattiva coscienza e, spesso, diventandone vittima.

Michele Chiodi, già dirigente di istituti finanziari, collabora con periodici e associazioni culturali.

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