Rileggo ciò che avevo scritto e ti rileggo. E oggi che tu non sei qui fisicamente, ti leggiamo nell’ovunque delle nostre esistenze, con nuove righe e con un’altra nuova chiave di lettura…
Ecco uno di quei libri in cui anziché la prefazione bisognerebbe mettere una sorta di foglietto illustrativo con le precauzioni per l’uso -per essere pronti all’approccio- o magari un paragrafo di istruzioni per l’uso… per dare la possibilità di ricomporsi dopo la lettura.
Attenzione, lettore: l’assunzione potrebbe provocare turbamento.
Non lo hai scritto. Dovevi.
E nella parola turbamento c’è il senso della scossa emotiva, del brivido da contatto, del rigurgito della memoria, dei ricordi che vanno e tornano dopandoti di emozioni o gonfiando il tempo come cortisone. C’è somministrazione lenta, a volte iniezione furiosa di quella memoria della Mente, dei fatti che si credevano diMenticati perché intrappolati nel finto oblio di quelle scatoline elettriche delle sinapsi… fatti che invece cercavano solo l’altra via di accesso (o di uscita?) attraverso l’altro scrigno della memoria, quella del Cuore, dove evidentemente non si sCORdano.
Ultimamente leggo poco o almeno non quanto vorrei; ho innalzato una pila di libri – polo negativo e polo positivo – che si carica, si carica e sale, sale. C’è di tutto dentro, so che mi ci potrei perdere. Al passaggio appare quasi un varco spazio-temporale… ma ahimè a tratti si erge sontuosa come una montagna da scalare più che come un piacere di cui godere…
Mi chiedo se di questi tempi scalarla sia più una sfida o un’avventura. Il tempo stavolta c’è, o forse no, perché quando c’è lo si impiega con altri impegni…, eppure quello che manca adesso è la voglia di distrarsi con altre storie che non siano la tua. Accumulo pensieri e libri come una accumulatrice seriale… Ho la sensazione che queste testoline bislacche di cui siamo normodotati ci facciano fare cose a nostra stessa insaputa… come alzare montagne come muri che fungono da trincee quando serve o al contrario come spronarci ad alzare lo sguardo, oltre quelle trincee o oltre i meccanismi delle nostre ruote da criceti, per ricordarci di puntare in alto verso vette che siano allettanti, con il tenero intento di allungarci la vita. E quindi tutti i verbi ricominciano a coniugarsi al futuro. Li divorerò questi libri, appena sarò più serena, appena avrò più tempo, appena avrò risolto i problemi <<veri>> e pure quelli verosimili, ad esempio quelli del lavoro, gli adempimenti accumulatisi non come montagna ma come discarica. Lasciamo così tante cose alle spalle quando l’impellenza chiama! Ma le cose intorno continuano a procedere per inerzia, anche e proprio senza di te. E anche se quello che lasci alle tue spalle non ti sorpassa, ti raggiunge rimanendo alle e <<sulle>> spalle, perciò anche se non lo vedi ne senti il peso. Certo, non quanto quelle che ti si schiantano davanti, però…
Ci sono libri che mi sto accarezzando con la vista, incuriosita da recensioni, da copertine, da incipit, da suggerimenti di amici e familiari… Me li sto trizziando come farebbe un giocatore di poker in una stanza ubriaca di pensieri, fumosa di dubbi e incertezze ma adrenalinica di voglia di vincere. So che sarà una bella partita leggerli ma so anche che meritano più predisposizione al gioco. E se non puoi giocare, devi avere la pazienza di saltare il turno ed aspettare.
Ieri sera, però, eccolo, il richiamo… Una voce: è il libro che papà mi (ci) ha regalato. Mi chiama. Anzi, il titolo grida lettura.
È notte ma il sonno viene sedato.
So che qui dentro c’è lui ignudo ma ci sono anch’io.
Leggo, mi fermo, sospiro. Rileggo. Parto. Torno.
Ho già un nuovo titolo: Nudo e crudo.
È un correre indietro, un lanciarsi nel vuoto… un crescendo di emozioni, tenerezza, malinconia, in una realtà in cui posso dire: io c’ero…
Ma c’ero davvero?
Adesso che l’età è diversa anche i fatti sembrano diversi. Gli eventi hanno prospettive infinite e mi fa riflettere il fatto che uno stesso accadimento abbia avuto occhi così diversi che l’hanno guardato. E chissà che io adesso non stia guardando con gli stessi occhi con cui guardavi tu, papà, alla mia nuova età.
Prima c’ero. Come una ragazzina che voleva esserci ma ancora di più fuggire. Adesso vorrei essere di nuovo lì e fuggire da qui (ma anche tornare perché io qui ci sono stata benone)…
E un poco ci sono tornata con le tue parole. Sono persino tornata nei posti in cui non sono mai stata.
Certo, mi è più facile immaginarti già uomo a Napoli che in uno spazio in cui io nemmeno esistevo nel tuo pensiero, a Sant’Andrea. La casa qui, in cui vivo, che è stata dei tuoi nonni napoletani e della tua adolescenza partenopea mi è più familiare dei luoghi della tua infanzia. Eppure quei pochi anni sono assai ingombranti e li porti nel tuo bagaglio ovunque tu vada… semplicemente ripiegandoli di più a ogni stazione, in ogni nuova stagione. Come ruote che spingono e funi che tirano, come buoi con gli aratri o calessi con cavalli, tu sei la risultanza di tutte queste forze. Sei il figlio ben educato, il nipote <<preferito>> (si può dire?) di uno zio e di un nonno che ti hanno insegnato più materie di vita di quelle imparate al liceo. La tua curiosità e la loro pazienza, la tua predisposizione e la loro saggezza hanno forgiato un eclettico, un uomo senza sovrastrutture, dalle pregevoli ed innumerevoli sfumature.
Il confronto tra vite è spontaneo. Io vedevo Sant’Andrea come la <<fregatura del weekend>> quando tutti i miei amici uscivano ed io invece partivo… Ma poi arrivava l’estate e quei luoghi mi facevano sentire inevitabilmente sazia di sensazioni. E più cresco e mi faccio grandicella e più capisco che cosa significhi <<luoghi dell’anima>>. Ed è per questo motivo forse che anche le mie sfumature ormai sono verdi prati e azzurro mare in una perfetta proporzione… matematico/genetica.
E come vedi, leggo di te e mi ritrovo a parlare di me…
Tu bambino e preadolescente avevi voglia di lasciare l’abitazione per incamminarti in campagna, per andare a trovare l’altro nonno, di cui porti il nome e lo zio di cui porta il nome tuo figlio, il mio fratello gemello…
Erminia ed Antonio. Fulvio e Beniamino. Questa continua polarizzazione che non è mai separazione ma semmai fusione, mi diventa più chiara con gli anni, i miei ed i tuoi anni…
Quanti ragazzini oggi rinunciano al proprio tempo per condividere spazi con anziani? Eppure nei tuoi racconti c’è l’entusiasmo. Entusiasmo. Che parola preziosa! Oggi ancora di più!
Entusiasmo per una vita campestre (voi classici dite bucolica!) che porti dentro come un seme che germoglia continuamente… E poi c’è il ragazzo di Napoli, l’altra vita, non parallela ma perpendicolare, quella per te vacanziera (toh! noi, stessa direzione ma verso opposto), quella universitaria, quella con gli altri nonni, coi cugini, con quella ragazzina… che si chiama mamma, la dolce ed esplosiva che ti ha fatto dire, da giovanissimo, voglio una famiglia numerosa.
E tutto questo, questa continua spola tra un qui e un là è quello che adesso ci portiamo anche noi dentro, come globuli…
E dentro questo sangue c’è il miracolo di San Gennaro e quello meno famoso ma altrettanto ossigenato di Sant’Andrea. C’è un cardiochirurgo qui e un Sindaco là; un nipote affascinato dal duro lavoro del vomere ed un altro sedotto dalla vocazione di salvare vite, lì un terreno d’ulivi, qui un giardino d’aranci, là un padre ed una madre che hanno segnato in anticipo la prima generazione di professionisti ma tante rinunce e spesso nebbia fitta nei pomeriggi corti, qui una stessa madre che ti ha “riportato” nel grembo partenopeo affidato al sole ma anche a un vulcano che crea impellenza di fuggire… Ma per noi tutto questo lo sei diventato solo dopo, nei tuoi racconti. Da bambini si è distanti dalle dinamiche genitoriali: sai che mamma e papà sono dove sei tu e tu sei dove sono loro e questo basta, senza farsi troppe o altre inutili domande. Poi da adolescenti cominci a sentire la radice che tira, ti guardi di più intorno e senti che sei quello che un padre e una madre portano a loro volta, come spinti da dietro da una fila di avi che propagano continuamente quello che sono stati…

Leggere il libro è stato come aprire capitoli di vita. E il fatto è che quella che è una tua autobiografia non può non diventare anche la nostra biografia. Il fatto è però che io quelle cose là già le sapevo ma le sapevo come le vede una ragazza, che vive gli anni della distinzione, impegnata a marcare propri territori per rimarcare i propri tratti (senza accorgersi che l’inchiostro con cui si disegna è uno, è quello).
E dunque cosa vedevo? Un professionista stimato, un uomo che salva vite, vite!, che opera cuori, un sindaco che rinuncia a diarie (ma perché lo fai, papà? Chiedevo. Adesso lo so, la risposta me la sono data io crescendo e capendo il senso del buono che va oltre al giusto. Perché prima, quando tu già eri adulto ma io non ancora, la tua risposta proprio non mi convinceva). E dunque vedevo viti da irrorare lì e vite da irrorare qui, tempo sottratto a noi (con la paziente o impaziente collaborazione di mamma che nel mentre badava a 6 figli riportandoti tutto e tutto, condividendo al tuo rientro. E io mi chiedo come facevate? Io che a volte non so badare nemmeno a me stessa!).
Tempo, un decennio che io credevo sottratto a noi, ma che in realtà investivi insegnandoci che si vive per il bene di un singolo paziente come per quello di una comunità, dello sviluppo, dell’ordine, della giustizia, valori in cui non hai mai smesso di credere, che ci hai insegnato in silenzio, non come il latino con le parole o la matematica coi numeri, ma lasciando che guardassimo il tuo ben più eloquente esempio. Tu che nella tua testarda passione per le cose hai trascorso 18 ore in sala operatoria per salvare una vita data per persa o un decennio per i concittadini che erano il tuo passato che porti nel futuro. Tu che a noi ragazzini galvanizzati e ai tuoi elettori chiedevi nel giorno di festa di non strombazzare alla fine di ogni elezione.
Per me figlia sei <<pa>> ma per la ragazzina, donna che cresce e invecchia sei l’uomo in gamba, risoluto, curioso e colto… Ma tutto questo spesso veniva offuscato dal peso del padre geloso, del genitore operoso, che ti chiede se ci sono novità a scuola, che è pronto senza riserve a correggere versioni, a risolvere funzioni anche quando è stanchissimo… e tu, Minny, anziché fare trigonometria dopo cena, vorresti fare filone il giorno dopo… però rinunciando perché non si fa, perché tanto puoi non andare a scuola, perché i tuoi ti dicono che sei matura per capire da sola se è meglio andare a scuola o prenderti un giorno a casa per studiare. E tu non resti a casa e non fai filone, preferisci fare lezione perché altrimenti non incroci lo sguardo del ragazzino che ti piace o non vedi le tue amiche per troppe ore… in quel luogo bruttissimo e bellissimo che è la scuola.
Una certezza, una garanzia. Tu e mamma un trampolino ed un porto sicuro.
Forti.
Le fragilità le capisci dopo.
Sia noi che voi siamo figli di generazioni diverse da questa di oggi. E se non si parte da questo presupposto è difficile che si possa scrivere e leggere il tuo libro, far comprendere il suo senso oltre le parole. Voi, in particolare, siete figli di una società in ripresa, in ricostruzione dalle macerie della guerra; le famiglie sempre meno autoritarie e patriarcali, le società, meno contadine, davano vita a nuclei familiari diversi dai precedenti, in cui un padre rappresentava ancora e sempre un esempio ma un figlio tutto sommato, un esperimento… non più un essere fatto d’istinto ma da crescere distinto dal sé. E poi si diventava genitori così giovani! Imparare a crescere figli facendo finta di essere già grandi ed esperti di vita era davvero una sfida… Un bravi ve lo meritate (ma nella prossima vita ricordatevi di farmi uscire di più, così vi metto la lode).
… E dunque scrivo, quanto scrivo! Ma da chi avrò preso? E qui faccio l’occhiolino perché nel gioco al lotto, nell’ambo del DNA, esce anche tutta la pienezza dell’altro numero, quello del ramo materno…
Adesso però mi fermo (forse)… continuo a leggere (sicuramente).
Avevo forse bisogno di fare il punto della situazione.
Leggere oggi del modo in cui hai affrontato allora la tua malattia mi dà la misura di quanto sia cresciuta io. La tua forza, in un’età simile, mi siano d’esempio.
Combatto a modo mio la malattia.
Non mi candiderò sindaco, no.
Non andrò in sala operatoria a salvare vite.
Non mi avvince nemmeno più come prima andare in tribunale a combattere con le ingiustizie di fuori con una categoria che fa ingiustizie da dentro.
Preferisco le altre aule, quelle che pullulano di ragazzi spesso già sconfortati da restrizioni e privati di opportunità di vivere cose e meraviglie semplici ma a cui puoi ancora insegnare che è proprio nelle emozioni elementari, nella basicità dei rapporti umani il senso del tutto…
Io la sento questa sorta di immedesimazione organica, tanti corpi ma un’anima. Sento che nel tuo racconto c’è come una spinta. E forse sono davvero gli avi che spingono. Ma di certo a spronare siete voi del mio qui e ora fatto di altrove e allora!
Siete Rami come propaggini da cui pendiamo noi frutti (olive o arance che siano!).
Siete Chioma, quella che io invece non ho perso… in questa strana simmetria.
Siete Radice.

Erminia Casale, avvocato e docente di diritto