Partono i bastimenti…

Prima della costruzione dei battelli a vapore l’emigrazione italiana si distribuiva quasi interamente in territorio europeo, un’Europa divisa in tanti Stati: operai andavano in Francia ed in Svizzera per la costruzione di strade, ponti, manutenzione; artisti di strada girovagano con i loro strumenti musicali e con spettacoli nelle piazze del Continente; spazzacamini dalle valli piemontesi emigravano in Francia per pulire i camini, che erano un lusso delle case signorili e nobiliari; mercanti e commercianti cercavano nuove vie per sviluppare le loro attività.

Particolare è la storia dell’emigrazione italiana in Ucraina (come è strana la vita!), quando numerosi cittadini videro in Odessa una città nella quale trovare fortuna.

Odessa, sul Mar Nero, era stato un villaggio in possesso degli Ottomani e si chiamava in precedenza Khadijibey, ma quando i Russi la sottrassero ai Turchi nel 1794 le dettero l’attuale nome in omaggio all’Odissea in quanto si raccontava che Ulisse avesse navigato a lungo vicino a quelle coste.

Fu nominato Amministratore Capo della città (cioè Governatore) un militare napoletano di origine spagnola: Giuseppe De Ribas, che arruolatosi nell’esercito della zarina Caterina la Grande, aveva fatto una brillante carriera ed era stato nominato prima Comandante della flotta del Mar Nero e poi Ammiraglio.

De Ribas intuì le potenzialità della città sul mare e propose a Caterina di sviluppare il piccolo villaggio, in quanto il suo porto non ghiacciava durante l’inverno: a Caterina l’idea piacque e si cominciò a costruire una città con opere in muratura e ad ampliare il porto. Il Governo di Odessa affidato ad un Napoletano attirò gli Italiani e vi fu aperto anche un Consolato del Regno di Napoli.

La comunità italiana poco dopo rappresentava il 10% della popolazione, una minoranza etnica formata da commercianti, portuali, mercanti, architetti, ingegneri, insegnanti (nel 1850 l’Italiano era la seconda lingua parlata) per i quali venivano effettuate anche tournée teatrali e musicali: in una di queste tournée a fine ’800, a Odessa, si esibì un complesso musicale napoletano di cui faceva parte Eduardo Di Capua: questi una sera, preso dalla nostalgia della bella Napoli, nello scuro della fredda sera dinanzi al Mar Nero, prese il testo di una canzone che gli aveva dato l’amico Capurro, la musicò e nacque così la più famosa canzone napoletana “ ‘O Sole mio”.

La vera spinta al fenomeno dell’emigrazione transoceanica è stata data dalla costruzione dei battelli a vapore all’inizio dell’800, la cui evoluzione ha portato alla creazione di piroscafi non più in legno ma in ferro e con eliche. Il primo battello a vapore che ha solcato il Mare Mediterraneo è stato il Ferdinando I° nel 1818, voluto dai Borbone di Napoli, costruito in una fabbrica di Vigliena a San Giovanni a Teduccio con motore inglese. Era lungo 38,80 m e largo 6,15m con due ruote laterali a pale e un fumaiolo; oltre alla camera del Capitano, c’erano 16 camerini destinati ai passeggeri di distinzione ed un camerone a prora per 30 persone riservato ai passeggeri che volessero viaggiare a costo più contenuto e sul ponte c’era spazio anche per due/tre carrozze.

Il viaggio inaugurale partì da Napoli per Marsiglia, passando per Livorno e Genova: era una rivoluzione per la navigazione marittima, una novità assoluta tanto che a Civitavecchia alcune barche si diressero in soccorso verso il battello, privo di vele, ingannati dal fumo che usciva dalla macchina a vapore, poiché pensavano che vi fosse un incendio a bordo. Dal successo del viaggio si capì l’importanza dell’invenzione che facilitava le rotte commerciali in termini di velocità e sicurezza.

Stava per finire l’epoca della vela ed addirittura nel 1832 la Francesco I°, appartenente ad una Società napoletana, un piroscafo lungo 45 metri e largo 8, con arredamento di lusso, confortevoli cabine e numerose cuccette, effettuò la prima crociera turistica al mondo. L’itinerario prevedeva la partenza da Napoli per Messina, Catania, Malta, le Isole Ionie, e Patrasso. Proseguiva poi per Napoli di Romania (che si trova in Grecia), Atene, alcune isole dell’arcipelago greco per arrivare in Turchia, a Smirne e Costantinopoli con escursione sul Bosforo, ritornando verso Palermo per concludere la crociera dopo tre mesi. Nel prezzo del viaggio erano compresi colazione, pranzo con vino e caffè: certo non c’era un grande confort, ma il viaggio risultò un successo e vi parteciparono passeggeri italiani e stranieri.

Grazie al piroscafo (o battello a vapore) iniziò la grande avventura dell’emigrazione italiana verso le Americhe.

Quando si parla di emigrazione ci appare davanti agli occhi la classica fotografia sbiadita di una famiglia in partenza, lui con baffoni e coppola, lei con un bimbo attaccato al collo e altri tre o quattro marmocchi circondati da valige e fagotti: hanno lasciato il paesello natio e con tristezza e speranza si imbarcano verso l’ignoto, ma come è stato organizzato il viaggio? come vivranno a bordo della nave? che cosa li aspetta all’arrivo?

L’inizio dell’emigrazione italiana, quella di gruppo, si ha nel 1854 quando il piroscafo Sicilia parte da Palermo (ancora Regno delle Due Sicilie) per New York dove arriverà dopo 26 giorni di viaggio, mentre due anni dopo per andare in Brasile da Genova a Rio de Janeiro ce ne vorranno trenta. Verso l’America meridionale, alla fine dell’800, emigrarono più persone che verso gli Stati Uniti, poi si ribaltò il fenomeno: Argentina, Brasile, Uruguay erano paesi in via di sviluppo e occorreva mano d’opera (in Brasile nel 1888 era stata abolita la schiavitù e quindi occorrevano lavoratori) e si intravedevano grandi possibilità per migliorare la propria condizione sociale.

Alcuni di questi emigranti, che erano sbarcati negli U.S.A. agli inizi del 1860, non solo Italiani, ma Irlandesi, Russi, Tedeschi e altri, analfabeti e ignoranti della lingua inglese, firmarono dei contratti senza sapere che erano carte per l’arruolamento nell’esercito e… si trovarono a combattere nella Guerra Civile Americana!

Nel 1881 erano partite più di 40.000 persone, diventate più di 280.000 nel 1902, per toccare nel 1906 la punta di oltre mezzo milione: un numero impressionante di forza lavoro che lasciava l’Italia con la speranza della Terra Promessa.

Venivano chiamati dai parenti o amici già emigrati che, facendo intravedere la possibilità di uscire dalla miseria, mandavano loro biglietti prepagati per il viaggio e paesi interi si spopolarono come ad esempio Padula in Cilento, la cui popolazione si dimezzò fra fine ’800 ed inizio ’900.

Questa ricerca della felicità era incoraggiata da persone senza scrupoli, mediatori e rappresentanti delle Compagnie di Navigazione, che a solo fine di lucro per vendere biglietti a favore dei vettori e per guadagnare le percentuali su futuri ingaggi di lavoro, giravano tutti i paesi d’Italia distribuendo volantini in cui si favoleggiava che oltre Oceano era facile diventare milionari, facendo sognare persone disperate.

I raggiri erano all’ordine del giorno e capitava che una famiglia, convinta di raggiungere una certa destinazione veniva invece abbandonata e sbarcata in un Porto diverso da quello concordato.

Al fine di tutelare i migranti il Governo intervenne con delle misure volte a proteggere il passeggero con alcune raccomandazioni:

se il migrante aveva già il contratto di viaggio doveva pretendere il biglietto dalla Compagnia di Navigazione. Non si fidasse di promesse verbali che potrebbero non essere mantenute e quindi costringerlo a ritardare la partenza o a tornare indietro o a non partire per niente, avendo venduto la propria roba e lasciato il lavoro.

Prima di vendere il campo o le masserizie che possedeva doveva assicurarsi che tutto fosse stato regolarmente disposto per la partenza e il contratto doveva essere stipulato in triplice copia: una per l’interessato (se analfabeta firmava per lui il Sindaco), una da consegnare al Capitano del Porto di imbarco, l’ultimo all’Agente di viaggio.

Non si fidasse di offerte di lavoro troppo vantaggiose, perché per la maggior parte si tratta di lavori malsani e pericolosi che porterebbero danni alla salute.

All’estero non accettasse lavori per un salario minore o con un orario più lungo perché sarebbe esposto alle rappresaglie degli operai locali.

Quando chiede un lavoro non si presentasse malvestito o sporco, perché il padrone crederà di dovergli fare un’elemosina e gli darà una paga più bassa, se invece si presenta decentemente non oserà proporgli una paga modesta.

I vecchi, i troppo giovani, gli inabili, gli inetti non devono assolutamente emigrare se non vogliono rimanere disoccupati, perché è normale che gli imprenditori scelgano gli operai migliori, quelli che producono di più.

Il tema della salute era il motivo di preoccupazione maggiore per il migrante, perché la visita medica effettuata in Italia, dato che il numero di partenti ogni volta superava il migliaio, era svolta velocemente e superficialmente, mentre quella ripetuta nel porto di arrivo era severa e meticolosa e se le condizioni fisiche non erano buone si rischiava di non poter entrare nel Paese e di dover tornare indietro con la stessa nave.

Al timore della salute si associava la paura per la traversata: moltissimi venivano dall’entroterra delle valli lombarde e piemontesi, altri dalla profonda Irpinia, dal Centro della Sicilia o dalle montagne dell’Abruzzo, nessuno di loro aveva mai visto il mare!

Salivano a bordo della nave e il loro biglietto di terza classe li confinava nella parte più bassa del piroscafo: gli uomini soli a prua, le coppie sposate al centro, le donne sole a poppa, mentre ai piani superiori i borghesi e i ricchi nei grandi spazi avevano un elegante salone in cui si giocava a scacchi, a dama, a carte, che all’occorrenza diventava una grande sala da pranzo.

I poveri migranti dormono in cuccette scomode, uno vicino all’altro fra miasmi che ammorbano l’aria, frastornati dal rumore della vicina sala macchine, soffrendo il mal di mare, perché sballottati di qua e di là, in condizioni igieniche precarie in cui il pericolo d’infezione è enorme, un migliaio di persone in spazi ridotti, dove si nasce e si muore e chi muore viene gettato cristianamente in mare.

Gli emigranti che vengono dalle stesse terre si riuniscono per cantare e suonare insieme le loro canzoni: Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar, i Piemontesi, Ma se ghe penso i Genovesi, Santa Lucia luntana i Napoletani. Cantano per darsi coraggio e per nostalgia, impauriti da quel mare crudele che spesso ha ingoiato i piroscafi e quando le condizioni del tempo lo permettono, corrono sul ponte, ammassati, per prendere aria, per sfuggire al girone infernale in cui sono costretti a viaggiare, dove il rancio viene consumato in spazi angusti su tavolini da sei persone, non servito da camerieri, ma ritirato in cucina da uno dei passeggeri.

Il rancio: Mezzo litro di vino al giorno e 25 grammi di caffè a testa; i giorni sono distinti in grassi e magri, quelli di magro saranno stabiliti dal medico, ma non potranno essere consecutivi, mentre la pasta asciutta viene data due volte al giorno come il pane fresco. Se il viaggio per l’America del Nord supera i dodici giorni la carne fresca deve essere data almeno tre giorni alla settimana (quattro per il viaggio per l’America del Sud).

È curioso quanto previsto dalla nuova legge sull’immigrazione del 10 luglio 1901 per quanto riguarda le provviste speciali in dotazione alle infermerie sulle navi, proporzionate a 1000 emigranti e a 30 giorni di viaggio: oltre a limoni, brodo, semolino, pastine, polli, uova, latte sterilizzato erano assegnate 24 bottiglie di Barolo, 24 bottiglie di Marsala e 12 bottiglie di Cognac. Ottime medicine sicuramente!

E finalmente laggiù un giorno si vede l’America, quella del Sud sarà più ospitale per la somiglianza di costumi e lingua e per la comune religione cattolica, quella del Nord, di fede protestante, più diffidente verso poveracci ignoranti.

Dal 1886, anno della sua istallazione, la Statua della Libertà rappresenterà il simbolo dell’arrivo nella terra dei Sogni, ma allo sbarco a New York i passeggeri di prima e seconda classe, dopo un rapido controllo medico, potranno scendere a terra, mentre gli emigranti saranno messi su barconi e portati ad Ellis Island, l’isola lazzaretto che raccoglieva emigranti di ogni nazionalità, dove saranno sottoposti a severi controlli sanitari.      

Gli accertamenti erano medici e mentali con particolare attenzione alle malattie degli occhi come il tracoma e alla tubercolosi: i soggetti non considerati sani venivano segnati con un gesso e trattenuti per ulteriori accertamenti nell’ospedale dell’isola. Nei casi più gravi l’individuo veniva rimpatriato.

Le persone che sbarcavano dovevano avere un poco di danaro o un contratto di lavoro, poiché la Società americana temeva un’invasione di individui socialmente pericolosi e quindi i migranti dovevano avere regolari requisiti per entrare nel Paese, mentre per le donne che avevano viaggiato da sole esisteva un’altra procedura: persone già residenti in America dovevano garantire la loro moralità ed onestà di costumi, in quanto si temeva l’arrivo di donne di mal affare destinate ad entrare nel giro della prostituzione.

Altre donne, che pure avevano viaggiato da sole sui bastimenti, erano, invece, arrivate negli U.S.A. per maritarsi con uomini che non conoscevano, un matrimonio combinato insomma.

Questi avevano pagato loro il biglietto di viaggio (magari le avevano viste solo in fotografia), ma se la promessa sposa lo rifiutava, giudicando il futuro compagno vecchio, brutto o comunque non di suo gradimento, era tenuta a rimborsargli le spese sostenute da lui per il viaggio oppure poteva capitare il contrario: che il futuro sposo respingesse la donna perché non gli piaceva e questa quindi tornava in Italia a meno che non trovasse sul momento un altro uomo. Quante donne hanno dovuto sopportare questa umiliazione e accettare una situazione mortificante e dolorosa per evitare di rientrare al loro paese: cosa avrebbe detto la gente!

Ellis Island è chiamata anche l’Isola delle lacrime, perché i respinti piangevano disperati pensando al ritorno in Italia dove magari non avevano più nulla avendo venduto il campo, le bestie, la casa: alcuni di loro si suicidarono buttandosi in mare e altri si tuffarono in acqua, morendo affogati nel tentativo di raggiungere, clandestinamente, la terra.

Umiliazioni, sofferenze e delusioni: …e ‘nce costa lacreme ‘st’ America.

Dopo essere stato interrogato e registrato dall’Ufficio Immigrazione (molto spesso i cognomi venivano trascritti erroneamente dall’impiegato addetto che non comprendeva per la diversità della lingua il cognome esatto: uno degli esempi più famosi si trova nel romanzo Il Padrino nel quale Vito Andolini nato a Corleone, il futuro Boss, viene registrato semplicemente come Vito Corleone); dopo aver esaurito le pratiche d’ingresso il migrante veniva imbarcato sul traghetto per Manhattan e finalmente arrivava nel Paese delle Opportunità e dei Grandi Orizzonti.

Milioni di Italiani hanno contribuito allo sviluppo dei Paesi in cui si sono recati, hanno combattuto per una vita dignitosa e tanti di loro hanno dato significato alla loro presenza, si sono disseminati lungo il Continente ognuno con una propria storia, un’emigrazione a volte non solo economica, ma intellettuale e politica.

A testimonianza delle diverse personalità di questi emigrati, ricordiamo ad esempio quella di Lorenzo Da Ponte, nato in Veneto, poeta, autore di libretti di opera lirica per vari musicisti e famoso per aver scritto la Trilogia di Mozart: Le nozze di Figaro; Don Giovanni e Così fan tutte, il quale arrivato a Filadelfia da Londra ad inizio ’800 fu il primo Professore di lingua italiana alla Columbia University di New York.

Antonio Meucci, fuggito per motivi giudiziari e politici (era aderente alla Carboneria) dal Granducato di Toscana, sbarcò dopo varie peripezie in America e qui dopo aver aperto un laboratorio di candele steariche in cui ebbe per aiutante Giuseppe Garibaldi, si dedicò alle invenzioni fra cui quella del telefono.

La delinquenza criminale delle bande italiane a New York fu contrastata da un famoso Super poliziotto, Joe Petrosino, nato a Padula, che combatté la Mano Nera (una specie di Mafia) e quando si recò in Sicilia per scoprire chi muoveva le fila dell’Organizzazione fu ucciso a Palermo con tre colpi di pistola.

Nel campo della moda brillò Salvatore Ferragamo, che partito da Bonito, in Irpinia, dette vita in California agli inizi del secolo scorso un’attività calzaturiera, famosa ancora oggi nel mondo, diventando il fornitore di scarpe delle Star di Hollywood: le famose scarpette color rubino indossate da Dorothy nel film Il Mago di Oz sono una sua creazione.

E per ultimo, ma non per importanza, anzi: Amadeo Giannini. I genitori, liguri, partirono da Genova con la madre incinta e nel 1870 Amedeo nacque a San Josè in California: creò in soli 40 anni la più grande Banca del Mondo. La sua preoccupazione non era solo quella di produrre ricchezza per sé, ma di dare benessere agli altri in particolare alla Comunità italiana che favoriva con prestiti ad interessi bassi.

In California gli Italiani erano visti con sussiego dalla popolazione locale di fede protestante, che isolava quegli straccioni che non parlavano neanche inglese, ed allora Amadeo cominciò a prestare denaro a questi emarginati guardando le loro mani callose e la faccia del cliente, senza chiedere garanzie. Estese i prestiti a basso interesse anche ad altri e la sua Banca nel 1906 raggiunse il milione di dollari.

Il 18 aprile 1906 San Francisco fu colpita da un disastroso terremoto e sussultò per tre giorni, gli incendi bruciarono la città e i superstiti giravano inebetiti e disperati fra le macerie avendo perduto tutto. Giannini salvò il denaro e l’oro della banca, trasportandoli di nascosto sotto cassette di frutta e verdura e, quando tornò la calma, aprì un locale provvisorio prestando denaro ai bisognosi senza interessi e poi caricò i soldi su un carretto girando per le vie devastate della città offrendo danaro a chi ne aveva bisogno, con un cartello che diceva: “Prestiti come prima, anzi più di prima”, avendo in cambio un foglio, firmato magari con una croce, di impegno alla restituzione del denaro. Quasi tutti restituirono la somma avuta in prestito. Questa generosità fu segno di speranza e di ottimismo per la popolazione e San Francisco, con il suo più importante porto sull’Oceano, ritornò a prosperare.

Più tardi contribuirà a finanziare la costruzione del Golden Gate, il ponte simbolo di San Francisco.

Intuì anche le grandi possibilità del Cinematografo e, grazie alla solidità della sua Banca, finanziò, tanto per ricordarne qualcuno di importante, Charlie Chaplin per il suo capolavoro Il Monello, Frank Capra per Accadde una notte e Walt Disney per il suo primo lungometraggio: Biancaneve e i Sette nani.

Dopo la guerra, Amedeo Giannini non dimenticò il suo Paese d’origine e contribuì in maniera massiccia a finanziare il Piano Marshall di ricostruzione dell’Italia: la sua Banca, che aveva sede a via Santa Brigida a Napoli, era un vero colosso della Finanza mondiale, si chiamava Banca d’America e d’Italia.

Sergio Giaquinto, Giurista, già Dirigente Amministrativo della A.O. dei Colli, cultore di Storia e Archeologia.

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