In tempi difficili come quelli che stiamo vivendo, quasi fluttuando sulla realtà in uno straniamento indotto che spesso ci spinge, inconsapevolmente, a mettere tutto in discussione e a seguire fascinose quanto banali affabulazioni mediatiche sul “mal di vivere” del presente e sul futuro prossimo venturo, provo piacere a riscoprire, di tanto in tanto, qualche prateria della nostra coscienza che è stata esplorata da grandi personaggi del Pensiero. Quello vero, con la p maiuscola, quello che ha sempre molto da insegnarci, sol che si voglia attingervi senza la mediazione dei soliti spacciatori di pappine culturali preriscaldate.
Ed è così che rileggere alcune pagine di Carl Gustav Jung, in questi giorni, mi ha fatto sicuramente bene al cuore ed allo spirito. E questa è già di per sé una cosa bella.
Il Maestro della moderna psicologia è stato il primo ad analizzare il cosiddetto ”inconscio collettivo”, cioè tutto ciò che precede la storia dell’individuo ed ha speso gran parte della sua vita a sviscerarne l’essenza, a studiarlo, a comprenderlo ed a farlo comprendere, per agevolare quella riconciliazione all’interno di noi stessi con la parte inconscia della nostra vita e favorire così l’integrazione della nostra personalità, laddove, appunto, sia necessario un intervento in tal senso.

Jung prende così in considerazione la storia dell’umanità e quei famosi “archetipi” che sono poi le colonne portanti dell’inconscio collettivo, sono carichi di storia e sono un vero e proprio serbatoio che contiene la storia tutta dell’intera umanità. E poiché noi dovremmo sicuramente attingere di più, molto di più, a questo enorme e prezioso serbatoio, ecco che egli elabora il suo metodo analitico proprio con l’obiettivo di individuare gli strumenti più idonei per compiere questa operazione.
Come farlo? Noi tutti sogniamo, nel sonno come ad occhi aperti e ciascun sogno contiene una sorta di messaggio e questo messaggio non solo ci dice che nel profondo di noi stessi c’è qualcosa da riparare, qualcosa che non và, ma ci fornisce anche una soluzione per sanare questa frattura. E’ proprio l’inconscio collettivo che ci invia questi sogni ed è proprio lui ad avere la soluzione, perché non si è perso nulla nella millenaria esperienza dell’umanità ed è come se ogni situazione ed ogni soluzione fossero state previste e conservate in questo serbatoio che tutto ingloba e tutto riassume.
L’analisi, dice Jung, ci consente di leggere nel modo migliore questi messaggi e di decodificarli.
La cosa interessantissima e che mi affascina, di queste considerazioni del Maestro, è che è stato proprio dall’esame dei suoi sogni che Jung giunse ad ipotizzare l’esistenza dell’inconscio collettivo e come queste manifestazioni non fossero indipendenti dalle leggi del tempo e della consequenzialità.

Un esempio fra tutti. Nel 1913, mentre il treno su cui viaggiava imboccava una lunga galleria, Jung racconta di aver perso improvvisamente la coscienza del tempo e del luogo, ritornando in sé dopo un’ora. In questo intervallo temporale si era visto intento a guardare una carta dell’Europa e, mentre la guardava, la vide venire sommersa dal mare, a cominciare dalla Francia e dalla Germania. E vide lui stesso seduto in cima ad una montagna, a contemplare questo mare che diventava rosso sangue e sulla cui superficie galleggiavano travi bruciate, assi divelte e corpi umani privi di vita.
La stessa allucinazione Jung la ebbe tre mesi dopo e sempre all’imbocco di una galleria e pochi mesi dopo ebbe un sogno in cui vedeva se stesso in viaggio su un piroscafo diretto all’isola indonesiana di Sumatra. Durante tale sogno, apprendeva dai giornali che sull’Europa si era abbattuta una tempesta terribile ed un’ondata di freddo mai vista prima e decideva, allora, di reimbarcarsi il più rapidamente possibile, per far ritorno in Europa. Arrivato nella sua Svizzera, tutto il paesaggio, a perdita d’occhio, gli apparve desolatamente coperto di neve e da questa neve spuntava una sola grandissima pianta di vite, carica di grappoli che egli iniziò a distribuire ad una massa di persone che lo circondava, ma che lui non vedeva. Questo sogno si ripetè per tre volte, finchè, nel luglio del 1914 e cioè nello stesso periodo temporale in cui, nei suoi tre sogni, si era visto in viaggio per Sumatra, apprese dai giornali che la guerra, la grande guerra mondiale, era scoppiata in Europa. E fu così che Jung comprese che i sogni e le visioni che aveva avuto gli erano venuti proprio dal flusso sotterraneo di quell’inconscio collettivo su cui stava indagando ed in cui la guerra era già presente, prima ancora che deflagrasse nel mondo. Ed allora egli si dedicò senza sosta ad approfondire questa scoperta incredibile, cosa che fece lungo tutti i suoi decenni successivi di studio e di ricerca, conferendo alla scienza della psicoanalisi una profondità incredibile di pensiero e di potenzialità terapeutiche mai avute prima.

Ecco, ho sentito oggi il desiderio di raccontare queste cose, innanzi tutto a me stesso, per le motivazioni di cui ho scritto all’inizio, ma per tanti altri motivi ancora. E forse perché Carl Gustav Jung, lui sì Maestro in un mondo che ci vede sempre più soli e con pochi veri punti di riferimento, mi ha aiutato a capire meglio qualcosa in più di noi stessi. Che cosa ci spinge, ad esempio, a fare nella nostra vita determinate cose e non altre? Che cosa è stata – e forse lo è ancora – quella spinta irrazionale fatta di nostalgia e di speranze insieme e di voglia di ancorare l’esistenza a qualcosa che le dia sempre più senso e compiutezza? Ma anche quando riteniamo di aver trovato risposta a tutto questo con la maturità e la vecchiaia, la verità, cari amici, è che continuiamo a cercare….quella primordiale armonia perduta…. quell’indefinibile bagliore di splendore….quell’attimo di estasi…quel……
Per farne dono alle persone che amiamo e poi, un po’anche a noi stessi.

Michele Chiodi, già dirigente di istituti finanziari, collabora con periodici e associazioni culturali