Piccolo, ti racconto la guerra.

La guerra in Ucraina è entrata in modo preponderante nelle nostre case, da febbraio ad oggi sono passati diversi mesi e visto il persistere del conflitto affrontare il tema della guerra con il proprio figlio è stata una prova importante per ogni genitore. In prima battuta un cruciale interrogativo per genitori e educatori è stato quello di capire se era doveroso raccontare o omettere quest’ evento ai bambini. Nel momento in cui si decide di raccontarlo perché obbligati dal protrarsi e dalla gravità della situazione storica la seconda domanda è stata come raccontarlo, sia le famiglie che la scuola si sono rimboccate le maniche per farle nel miglior modo possibile.

Al primo quesito gli esperti di psicologia evolutiva con coro unanime hanno affermato che è importantissimo parlare di guerra ai bambini (Lorenzoni et al.).

Chi conosce e lavora con i bambini sa bene che loro a qualsiasi età hanno le capacità per affrontare anche temi importanti, la cosa fondamentale è affrontarli utilizzando una metodica chiara e accessibile alle peculiarità del bambino stesso. Raccontare la guerra non è una cosa semplice: la brutalità, lo scempio immotivato, il dolore, le motivazioni economiche e politiche che possono esserci alla base di questo avvenimento, sono ineffabili anche per un adulto. I consigli che possono essere dati ai genitori e agli educatori che devono ancora oggi raccontare la guerra per l’inasprirsi del conflitto vanno veramente “centellinati e contestualizzati” al bambino e alla situazione. Ma su alcune cose veramente non bisogna soprassedere, infatti vanno evitate sempre le esposizioni violente: il bambino non deve essere mai lasciato da solo a vedere le immagini di distruzione, di conflitti armati, di morte e di mutilazioni. Perché queste immagini sono permeate di paura e aggressività e generano nel bambino piccolo livelli di spavento e dolore deleteri, come ben mostrano gli esperimenti di Bandura. Mentre nel bambino più grande, che già dagli 8-9 ha saldo il concetto irreversibile della morte (Nagy), le immagini violente di conflitti a fuoco possono essere fonte di ansia e depressione.

Le scuole sono state molto importanti, nel raccontare questo delicato momento storico e come per la pandemia sono state dei veri e propri filtri emozionali e delle risorse per il bambino e la famiglia. Importantissimi sono state le manifestazioni, i lavoretti fatti che hanno prodotto la giusta sinergia collaborativa e hanno rassicurato i bambini. Nei momenti cruciali con i bambini è importante fare un’attività con l’adulto, non farli sentire soli per accresce la loro base sicura. Questo perché esistono le “parole mute” che i bambini introiettano: anche senza parlargli loro hanno occhi e orecchie ovunque senza che venga affrontato un argomento loro lo sentono; è la guerra è uno di questi argomenti. I bambini, inoltre, sono dei ricercatori infallibili della loro realtà e fiutano da subito quando un adulto vuole sminuire e banalizzare una situazione.

Come bisogna allora raccontagli di questa favola dell’orrore che è la guerra?

In primis se vogliamo informare il nostro piccolo interlocutore su un tema saliente dobbiamo renderlo parte attiva del nostro discorso, bisogna comunicargli una nuova informazione e non indottrinarlo.

Come facciamo a fare questo? Bisogna ASCOLTARLO. Chiedere ad un bambino cosa sa della Guerra è la prima domanda da fargli e poi utilizzando il suo stesso linguaggio bisogna raccontargli cosa sta accadendo. Un adulto che deve rassicurare un bambino sulla situazione non deve mai incorrere in due errori fondamentali ossia accorciare il discorso parlando di buoni e cattivi e non bisogna dire che la guerra è simile al litigio tra bambini.

 L’adulto che descrive la guerra riportando il tutto alla dicotomia tra buoni e cattivi, sbaglia perché a monte il bambino deve capire che in una guerra non c’è mai nulla di buono e non dovrebbero proprio esistere conflitti tra i popoli.

Riguardo alla similitudine Guerra- litigio tra bambini questo è sbagliato poiché il bambino può sentirsi anche lui responsabile in piccolo di uno scempio immondo.

 «Creare questa assurda correlazione tra il litigio infantile – un comportamento normale, innocente, naturale, legato al gioco – e un evento così tragico, devastante e irreversibile, come quello della guerra, è l’errore principale che possiamo fare: è terrorismo educativo. Piuttosto è imparando a litigare che si imparano a gestire i conflitti» come afferma il pedagogista Daniele Novara.

Raffaela Cerisoli, Psicologa e dottore di ricerca in Scienze della mente, A.O. dei Colli, Ospedale Monaldi.

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