Lucia Pisapia Apicella è nata e vissuta a Cava de’ Tirreni, una donna del popolo come tante. La sua città, nei giorni caotici dell’armistizio e del successivo sbarco alleato lungo tutto il litorale salernitano, in quel lontano settembre del 1943, è una via obbligata per le truppe d’invasione anglo-americane che devono puntare rapidamente su Napoli. La statale 18 che attraversa il territorio cavese diventa così epicentro di battaglie disperate. Agli alleati che devono consolidare le loro teste di ponte per proseguire l’avanzata ed evitare il continuo incombente pericolo di essere respinti sulle spiagge dello sbarco, si oppongono la fanteria e i paracadutisti tedeschi, in numero decisamente inferiore, ma estremamente determinati a far fallire l’intera operazione di sbarco. Sono sul punto di riuscirci, ma il massiccio supporto dell’artiglieria navale degli anglo-americani e l’utilizzo di una schiacciante superiorità aerea rendono praticamente impossibile la loro controffensiva. È un massacro su tutta la line del fronte, ma soprattutto nella zona di Cava de’ Tirreni e delle alture che circondano la città.
Gli alleati raccolgono i loro morti mentre proseguono l’avanzata, ma per i tedeschi in ritirata, schiacciati dalle bombe di navi e aerei che sviluppano una potenza di fuoco micidiale, è impossibile recuperare i cadaveri dei commilitoni: essi sono destinati a rimanere insepolti sul campo di battaglia o seppelliti frettolosamente sotto un po’ di terra e una croce improvvisata, accanto alle loro armi.
Qualcosa scatta definitivamente dentro di lei quando, qualche anno dopo quegli eventi apocalittici che hanno terremotato la vita degli abitanti di Cava, Lucia Apicella vede alcuni ragazzi giocare incoscientemente a pallone con il teschio di un soldato morto, rinvenuto per caso in quelle zone dove era passata la battaglia. Questa scena la sconvolge e le fa rivivere a fondo la dimensione di un orrore solo apparentemente sepolto, fino ad allora, nel profondo dell’anima. Ad essa segue un sogno premonitore: otto croci divelte e otto soldati che le chiedono confusamente di restituire ciò che resta di loro alle proprie madri lontane.

Ed è allora che Lucia Apicella diventa Mamma Lucia, la mamma dei soldati abbandonati, povere ossa e resti coperti da uniformi a brandelli, spesso con le loro piastrine di riconoscimento e i documenti ancora addosso, qualche fotografia, un nome e cognome di cui nessuno vuole prendersi cura. Mamma Lucia ne recupera più di ottocento, scavando con le mani, raccogliendo da sola o con la fidata Carmela quei miseri resti che giacciono nelle campagne, fra i monti della zona tra Vietri e Cava, intorno ai bunker distrutti dalla guerra.
Diventerà popolarissima in Germania, tra le famiglie dei soldati morti e dimenticati, alle quali ha restituito un nome e delle ossa su cui piangere, ma riceverà onori, seppur tardivi, anche in Italia, continuando a vivere modestamente come sempre e morirà nella sua Cava de’ Tirreni nel 1982.
Quella di Mamma Lucia è una delle tante storie, spesso poco conosciute o addirittura inedite, racchiuse nel prezioso volume edito recentemente dalla casa editrice napoletana Jovene ed intitolato Salerno, settembre 1943. I combattimenti al caposaldo San Liberatore. Il libro, riccamente illustrato con materiale fotografico di prim’ordine e assolutamente inedito nella memorialistica sull’argomento, illustra le nuove indagini storiche, fornisce nuove analisi e quegli spunti di riflessione fino ad oggi poco approfonditi che consentono di analizzare lo sbarco anglo-americano, nella zona tra Salerno, Vietri sul Mare, Cava de’ Tirreni e la costiera amalfitana, sotto una luce diversa e più nitida. Importantissimi, in tal senso, sono i documenti di provenienza tedesca.
Si tratta di parti del diario di guerra del II Battaglione del 1° Reggimento panzergrenadier della Divisione Hermann Goering e di testimonianze private, tra cui le poche pagine rimaste dell’agendina personale di un comandante di compagnia del citato II Battaglione. Tasselli utilissimi, dai quali traspare, in parte, anche la percezione della guerra da parte dei soldati tedeschi e che, uniti alle numerose testimonianze orali raccolte nel tempo dalla memorialistica del territorio e al corredo fotografico davvero significativo, ci aiutano a comprendere meglio cosa avvenne in quella zona del litorale campano nel settembre di ottant’anni fa e ad entrare davvero nel cuore di tenebra di una battaglia durissima caratterizzata dalla decisa resistenza dei soldati tedeschi che, nonostante le condizioni di inferiorità, riuscirono a rallentare notevolmente l’avanzata delle truppe anglo-americane sbarcate in forze ed appoggiate, anche questa volta, da una copertura di fuoco navale ed aereo impressionante.
I fatti narrati si svolsero tutti su quella prima linea di combattimento che comprendeva la collina di Dragonea ed il Passo di Molina (nel Comune di Vietri), le alture della zona di Cava dove erano ubicati i sedici bunker del caposaldo San Liberatore, difesi dalle forze tedesche e le zone della costiera che conducono ai valichi di Chiunzi e di Agerola.
Ed è così che questo libro, curato da Francesco Lamberti con la passione del ricercatore e la competenza dello studioso di storia militare e che si avvale della presentazione di nomi prestigiosi come quelli dello storico Lutz Klinkhammer e del generale Fabio Mini, conquista il lettore perché svela tante verità poco note di una pagina importante degli avvenimenti di quel settembre del ’43 e mostra il volto vero di una battaglia in cui le vite dei commandos inglesi e dei rangers americani si intrecciano con quelle dei granatieri e dei paracadutisti tedeschi che ai primi contesero coraggiosamente, palmo a palmo, quei terreni impervi e scoscesi. Anche i loro giovani volti striati di verde per confondersi con la vegetazione, le loro divise mimetiche e il loro sguardo perduto di soldati che affrontano la corrosiva infezione del campo di battaglia, meritano di essere ricordati e di uscire dall’oblio e dalla damnatio memoriale dei vinti.

E se, dopo aver letto il libro di Francesco Lamberti, volete avere piena consapevolezza di questa storia, fate un salto sopra Vietri, sulla collina di Dragonea, conquistata e perduta più volte e duramente battuta dal vento della guerra. Guardatevi intorno: avrete un tuffo al cuore e, di sicuro, capirete meglio tante cose che il tempo e gli uomini, per quanto ce la mettano tutta, difficilmente riescono a cancellare.

Michele Chiodi, già dirigente di istituti finanziari, collabora con periodici e associazioni culturali.