Sangue e latte, il romanzo di Eugenio Di Donato, un viaggio fra passato e presente, tradizioni e relazioni familiari di un ragazzo cresciuto in campagna e diventato adulto in città;che affronta il delicato tema della comunicazione intrafamiliare e interpersonale
La nostra vita è fatta di incontri e di storie. Sì, le storie che raccontiamo e quelle che ascoltiamo. La narrazione consente di rielaborare pensieri, concetti, modificare atteggiamenti e convinzioni, metterci in discussione, fare ordine nella nostra mente.
Così, in un caldo mattino di fine agosto, a Rivisondoli, paesino abruzzese che conta meno di 600 abitanti, Giovanni, proprietario di un bar pasticceria che fa un ottimo caffè e sforna dolcumi squisiti, mi propone l’acquisto di un libro e mi presenta Eugenio, l’autore, e Gaia, la sua compagna fotografa, che sorseggiano un espresso al sole. Siamo in pieno Covid e non è possibile organizzare presentazioni tradizionali di libri, ma quest’insolita occasione permette una conoscenza più diretta e approfondita con l’autore.
Lo compro, e comincio a parlare con loro. Eugenio è abruzzese, nato a Rivisondoli e cresciuto a Castelli, altro paesino dell’Appennino. Dopo la maturità si trasferisce a Milano, ove si laurea in ingegneria e ottiene un dottorato di ricerca in fisica della materia e architettura delle molecole.
Pur essendo un avido lettore, a scuola in italiano non brillava, mentre era un fenomeno in matematica. Eugenio non si rassegna e, dopo esperienze lavorative in vari atenei in Italia e a Parigi, nel 2006 decide di abbandonare la professione di ricercatore scientifico per intraprendere quella di scrittore.
La nostra chiacchierata continua per un po’, Gaia scatta qualche foto mentre conversiamo. Mi racconta l’incipit, la storia mi attrae e gli prometto di leggerlo e dargli un feedback.

Sangue e latte è uno shot, un cicchetto da bere in un colpo solo, tutto di un fiato. La scrittura è fluida, lo stile scorrevole. In parte autobiografico e in parte romanzato, è un racconto che mi prende, perché riporta alla memoria le origini delle comunità rurali, dei nostri nonni e bisnonni contadini, fatte di dedizione al lavoro e di rapporti familiari che possono apparire anaffettivi o, comunque, non mielosi.
E così nel racconto di Ludovico Travagli, il protagonista, si ripercorrono l’infanzia e l’adolescenza di un bimbo nato da una famiglia di origini contadine, con un primo passaggio generazionale voluto dai nonni: la madre si laurea e diventa insegnante. Era il tempo in cui la cultura, lo studio e il posto fisso rappresentavano le sicurezze che i nonni, cresciuti con la guerra, volevano per i figli, per i nipoti; così Ludovico si trasferisce al nord, in una metropoli, per studiare ingegneria alla ricerca di un futuro migliore,
L’intreccio fra tradizione e innovazione, radici e cambiamento, natura e cemento genera in Ludovico conflitti interiori e relazionali, di chiusura, al punto di rivolgersi a uno psicologo nel costante bisogno di raccontarsi e di ottenere risposte, date a se stesso con l’elaborazione della propria analisi introspettiva, dei problemi legati alla comunicazione interpersonale, che condiziona la sua vita sentimentale.
Paesino e metropoli, spazi aperti e uffici in palazzi, la ricerca di sé fra due mondi contrapposti, la consapevolezza del non essere in grado di scegliere, di agire in modo determinato, di non essere in grado di comunicare con le persone amate: questo è il conflitto interiore di Ludovico
Mesi fa sono stato a una mostra. Ci sono tornato tre volte. La storia dell’uomo narrata dagli albori a oggi attraverso cento oggetti e cento verbi. Il primo reperto era un sasso di 400.000 anni fa. Il verbo associato, esistere. Nella campana di vetro adiacente un sasso della stessa età. Sagomato. Il verbo associato, afferrare.
Guardo i due sassi. Esistere e afferrare. Il sasso, e il sasso levigato. L’afferrare è quindi una forma evoluta dell’esistere. E’ vivere.
Due sassi e due verbi, a suggerire che l’uomo abbia affermato la propria esistenza prendendo. Ho avuto difficoltà a dire di sì, a prendere i doni che la vita mi ha offerto. Ho sempre visto dare, e per cultura ho associato il dare a qualcosa di giusto e il prendere a qualcosa di sbagliato. E il caso di capire cosa faccio. Cosa perdo perché ho paura di prendere delle decisioni.
Sangue e latte, titolo che rappresenta il travaglio, la nascita, è un romanzo che fa riflettere, appassiona, e che consente un’ interpretazione soggettiva leggendo i paragrafi del libro, con passaggi dal presente al passato, in un’armonica fusione.
Mi fa pensare anche all’incontro con Eugenio. Chissà se, a Milano dove vive o a Napoli, la mia città, sarebbe stato lo stesso. Forse è proprio l’atmosfera di un paesino che favorisce le relazioni, il clima vacanziero, il luogo dove tutti si danno del tu, lontani dallo stress d vita metropolitano.
Un incontro, storie raccontate, una nuova piacevole amicizia.
Eugenio Di Donato, Sangue e latte, El Doctor Sax Beat & Books Editore, disponibile su Amazon.
Un libro da non perdere.
Ringrazio Gaia per gli scatti fotografici

Carlo Negri, esperto di marketing farmaceutico e comunicazione in Sanità