Sarà femmina: cosa le racconterò del mondo?!

Tutto comincia in quel preciso momento, da una conferma davanti ad un monitor, da una certezza cromosomica che traduce fantasie cresciute con il tempo e con la storia. A chi non è capitato di ascoltare commenti in merito alle caratteristiche peculiari dell’essere nata femmina? Certo, oggi nell’anno 2021 per molte cose non è come in passato, oggi si può denunciare ovunque, anche in India, anche in quei paesi dove le femmine vanno in giro con il volto coperto, anche in Italia, dove ogni due giorni muore una femmina, anche in Campania, Sicilia, Lombardia, Piemonte. Eppure, le femmine, sono e restano ancora le signore di qualcuno, fiere di acquisire cognomi di mariti, molte volte non importa se maltrattanti o violenti. La storia dei maltrattamenti delle femmine comincia già quando si è nel ventre materno, quando si pensa che anche se oggi le femmine sono emancipate, lavorano e studiano, una femmina, te la trovi sempre.

Femmine cresciute in famiglie medio borghesi, che sono andate all’università e che hanno conosciuto il mondo, che hanno partecipato alla vita politica e frequentato il mondo del volontariato cristiano e laico, femmine che da grandi volevano fare le scienziate e che ci sono riuscite…femmine papabili vittime di femminicidio, perché si è coniato anche un termine quando se ne uccide una… Ma perché? Cosa succede? C’è forse un complice supremo in questo numero di femmine che vengono uccise?

Il processo di mortificazione psicologica comincia molto presto, comincia con l’utilizzo di parole denigratorie continue: tu non sai fare nulla, sei femmina che vuoi capire, lascia stare sei femmina non sei capace, sei proprio una persona inutile come tutte le femmine del resto…

Gesti, sguardi e toni di voce che esprimono continua disapprovazione, che ridicolizzano ogni cosa detta o fatta, sostengono un lento e sottile percorso di smantellamento della propria autostima e della propria identità.

Il clima che si viene a creare è di necessaria affermazione dell’esserci poiché qualsiasi atteggiamento o comportamento è ritenuto inadeguato o inadatto. E questo non tanto perché il comportamento è preso di mira, quanto perché è presa di mira la femmina poiché tale, in ogni cosa che la femmina fa e manifesta.

Ecco che necessariamente si comincia a vivere in un continuo stato di tensione e di colpa. Le attività più elementari si trasformano in attività che inevitabilmente mettono alla prova e vedono la femmina sotto esame. Ogni azione richiede l’approvazione dell’uomo che però in realtà è vissuto come l’unico possessore della verità, l’unico ad essere capace di poter esprimere il giusto giudizio sull’operato che viene messo in atto.

In ogni ambiente, dalla famiglia alla professione, le femmine sono a un gradino più basso: meno soldi, meno riconoscimenti, meno presenze, meno spazi di potere, sono di più ma restano meno, nonostante i politicanti di questo nuovo mondo.

Non è un caso che molte femmine, che riescono dopo tanto tempo a condividere con qualcuno la realtà vera che stanno vivendo, non solo se ne vergognano ma si scusano e sostengono che è giusto così.  

Come intrappolate nel proprio delirio, molte femmine ritrattano, negano o non denunciano non solo per paura, ma perché non ci si ribella con chi si ama, si è femmine e per le femmine è così da sempre

Questo tipo di violenza è esercitato sulle bambine per lo più in famiglia, dove si affermano il dominio e la superiorità del maschio/uomo. Una violenza che non sporca le mani, fatta di parole, gesti, sguardi, allusioni, offese velate o esplicite che umiliano e mortificano fino a far sentire la persona disperata e sola quando sarà adulta, quando si troverà a decidere se pensare di ribellarsi o soccombere.

Questa è la violenza che tutte le bambine ricevono in dono-eredità appena nate, dalle loro madri, zie, sorelle, nonne, conoscenti. Le bambine e le donne poi, sottoposte costantemente a questo clima, iniziano a dubitare di loro stesse, dei propri pensieri, dei propri sentimenti, si sentono in colpa se solo sopravvengono dei dubbi sui comportamenti da avere o sentono di essere inadeguate e, spesso, come conseguenza, si isolano o vengono isolate.

Così la femmina che si ribella resta senza appoggio. Tanti sono i fattori che impediscono loro di infrangere lo stigma sociale che le intrappola e le violenta da sempre, quello più difficile da affrontare è il mancato riconoscimento delle aggressioni e dei maltrattamenti subiti.

La più amara consapevolezza è che lo stereotipo della tolleranza femminile, così ben visto in molti ambienti, è stato e sarà sempre uno scomodo tallone d’Achille. Sì perché, altrimenti, non si spiegherebbe il motivo per cui quelle stesse donne che molte volte pur occupando ruoli e posizioni anche di responsabilità, in privato sono femmine che subiscono ogni forma di minaccia, umiliazione, offesa e violenza. In privato sono femmine inutili e vulnerabili che sopportano sopraffazioni e atti indicibili, inenarrabili in pubblico. La vergogna è quella che resta, non se ne può parlare con nessuno. Tuttavia una donna sa, una donna lo legge in volto, tra le righe, in uno sguardo, in una ruga.  Quello che ci piace pensare, è che seppur lento e scomodo, il cammino verso una meta di assoluta ed umana libertà di espressione e di essere, non ha mai smesso di procedere e non smetterà mai. La forza e la determinazione che spinge una donna che ha imparato nella sofferenza a rimboccarsi le maniche e cambiare strada, è quella di affinare l’intuito e comprendere che dopo aver imparato è necessario disimparare e tornare dove tutto è cominciato. Ci piace pensare che l’emergenza non finisca con una legge o un ministro, ci piace pensare che le lacrime non finiranno con un monologo sul femminicidio di un noto personaggio televisivo, ci piace pensare che un giorno si parlerà di crimine contro l’umanità, di una barbarie esercitata da un essere umano contro un altro essere umano.

Giuseppina Savorra, psicologa-psicoterapeuta APSIS, trainer P.S.P – Pronto Soccorso Psicologico Croce Rossa Italiana 

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