Se soffro e vivo un trauma durante la mia infanzia, ho il rischio di ammalarmi tre volte di più del resto della popolazione di un grave disturbo mentale
Da una recentissima pubblicazione della dott.ssa Bridget Hogg (Hogg, B., Gardoki-Souto, I., Valiente-Gómez, A., Rosa, A. R., Fortea, L., Radua, J., … & Moreno-Alcázar, A. (2022). Psychological trauma as a transdiagnostic risk factor for mental disorder: an umbrella meta-analysis.
European Archives of Psychiatry and Clinical Neuroscience, 1-14.) che ha analizzato quattordici reviwes e meta-analisi pubblicate fino ad oggi su riviste specializzate, incorporando più di 93.000 casi e prendendo in considerazione l’intera gamma di disturbi mentali esistenti è emerso senza alcun dubbio che Il trauma psicologico infantile è davvero un fattore di rischio per soffrire di un disturbo mentale in seguito.
I traumi infantili più comuni sono l’abuso emotivo, fisico e sessuale, così come l’abbandono emotivo o fisico e il bullismo, ma ce ne sono anche altri come gli episodi di mobbing familiare o scolastico che seppur meno traumatici, se perpetuati nel tempo, rappresentano forti prediettori di un disturbo mentale. Lo studio è stato il primo ad analizzare l’intera gamma di vissuti psicopatologici conosciuti e presenti oggi nel DSM-5 tm (Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) ed è emerso che per i bambini che hanno subito abusi emotivi il disturbo più diffuso riportato era l’ansia. Il trauma ha anche aumentato i rischi di psicosi, disturbo ossessivo compulsivo e disturbo bipolare. Significativamente, coloro che subiscono traumi durante l’infanzia avevano 15 volte più probabilità di essere diagnosticati con disturbo borderline di personalità da adulti. Subire una di queste situazioni danneggia il cervello, causando conseguenze fisiche e psicologiche sotto forma di vari disturbi.
Alla luce di questi risultati, Bridget Hogg, psicologa ricercatrice e prima autrice dello studio, ritiene che i pazienti di ogni età abbiano bisogno di un approccio che tenga conto non solo dei fattori fisici e psicologici, ma anche della loro storia.
Non possiamo curare un adulto se non ci rendiamo cura del bambino che è stato.
A distanza di anni, utilizzando metodi statistici innovativi e diversi approcci psicologici che vanno dalla Psicoanalisi, alla Gestalt, al Comportamentismo, al Funzionalismo fino ad arrivare al cognitivismo moderno, nessuno degli approcci ha mai contestato un assunto fondamentale dell’essere umano ossia il puer aeternum, termine coniato nel 1912 da Carl Jung.

Questo concetto oggi conosciuto dalla stragrande maggioranza della psicologia moderna con il nome di bambino interiore rappresenta la capacità di percepire in modo estremo moltissime sensazioni, ed è anche la parte che custodisce molti dei nostri ricordi, dei desideri e della nostra capacità creativa.
Secondo Jung il bambino interiore sano ha entusiasmo, creatività e fiducia, ed è in grado di esprimere le proprie emozioni senza paura. La maggior parte degli adulti possiede un bambino interiore ferito di cui i bisogni primari di accudimento, amore incondizionato e riconoscimento non sono stati soddisfatti durante l’infanzia.
Il dolore del bambino interiore appartiene al passato, ma deve essere affrontato e accettato nel presente. Evitare la propria sofferenza significa soltanto prolungarla nel tempo. Lo stesso Jung afferma che:
– L’unico modo per guarire il bambino interiore è diventare il genitore che avrebbe voluto avere.

Raffaela Cerisoli, Psicologa e dottore di ricerca in Scienze della mente, A.O. dei Colli, Ospedale Monaldi.