Un evento estremo che dovrebbe invitarci al Pensiero Sistemico
Il 18 ottobre 2019 il John Hopkins Center for Health Security in collaborazione con il World Economic Forum e la Fondazione Bill & Melinda Gates hanno presentato a New York l’ Event 201 Pandemic Exercise: una simulazione di pandemia globale da coronavirus in cui è stata simulata la gestione della infezione e della conseguente crisi globale, al fine di analizzare i disastrosi costi di vite umane ed economici, legati ad una eventuale e fantomatica (sic!) infezione da coronavirus.
Al summit sullo scenario dell’’Evento 201’ hanno partecipato 15 leader di multinazionali, dei governi e della sanità, ed è stato simulato il dirompere di un’infezione pandemica da un nuovo coronavirus zoonotico trasmesso da pipistrelli a maiali e da questi agli uomini, con successiva facile trasmissibilità tra persona e persona, portando ad una grave pandemia. L’agente patogeno e la malattia sono stai in parte modellati sulla SARS 2002-2004, ma con una maggiore trasmissibilità del virus in ambito comunitario da parte di persone con sintomi lievi. Secondo la simulazione, la malattia, iniziata silenziosamente e lentamente negli allevamenti di suini in Brasile, comincia poi a diffondersi più rapidamente negli ambienti sanitari. Quando inizia a diffondersi efficacemente da persona a persona nei quartieri a basso reddito e densamente affollati di alcune delle megalopoli del Sud America, l’epidemia esplode: viene prima esportata per via aerea in Portogallo, negli Stati Uniti e in Cina e poi in molti altri paesi. Sebbene inizialmente alcuni Paesi sembrano in grado di controllare il virus, pure la malattia continua a diffondersi e ad essere reintrodotta, fino a che nessun Paese ha più potuto mantenere il controllo della infezione e delle sue conseguenze. Secondo la simulazione, non esistendo ancora un valido vaccino per il nuovo agente virale, non potrà essere disponibile una vaccino-terapia nel primo anno, ma in compenso veniva ipotizzata la disponibilità di un farmaco antivirale attivo, in grado di aiutare i malati ma non di limitare in modo significativo la diffusione della malattia. Non esistendo immunità per il virus tra gli umani, ed essendo l’intera popolazione umana suscettibile al virus, durante i primi mesi della pandemia, il numero di casi aumenta rapidamente, raddoppiando ogni settimana, e man mano che i casi e le morti aumentano, le conseguenze economiche e sociali diventano sempre più gravi.

Lo scenario termina dopo 18 mesi, con 65 milioni di morti e con la pandemia che rallenta a causa della diminuzione del numero di persone sensibili al contagio. Sebbene ciò, la diffusione del virus proseguirà fino a quando non vi sarà un vaccino efficace o fino a quando l’80-90% della popolazione mondiale non sarà stata esposta, sviluppandosi una immunità di gregge per la restante popolazione umana; e da quel momento in poi, sarà più probabile che proseguirà come una malattia endemica dell’infanzia.
L’11 marzo 2020, l’OMS ha dichiarato la COVID-19 una pandemia, ed in particolare ha precisato che si tratta della prima pandemia umana scatenata da un coronavirus. L’OMS ha esortato tutti i paesi a non arrendersi ma a moltiplicare gli sforzi di contrasto alla diffusione del virus: rafforzare le misure preventive, attivare la sorveglianza attiva, adoperarsi per individuare precocemente i casi, isolarli seguendo adeguate procedure gestionali e di contenimento e rintracciare accuratamente i contatti stretti per prevenire l’ulteriore diffusione.
Oggi siamo entrati nella fase 2, di convivenza con il virus, che sebbene stia mietendo meno vittime grazie alle misure di lock-down e forse di mutazioni attenuative della virulenza, sta ancora mostrando tutto il suo impatto distruttivo sui sistemi sociali ed economici dei paesi coinvolti, oltre che l’enorme peso sui sistemi sanitari.
Dalle premesse sulla Event 201 Pandemic Exercise appare chiaro che una pandemia da coronavirus fosse un evento prevedibile, anche considerato che almeno dai tempi della SARS 2002-2004, in numerosi laboratori del mondo, tra cui anche quello di Whuan, si stavano creando e studiando nuovi coronavirus, e sono ben documentate nella letteratura scientifica medica, casi di involontarie e malfortunate fughe di virus da laboratori di ricerca (Lim,P.L. et al N. Engl, J. Med. 350, 17440-1745; 2004).
Pertanto, tecnicamente una pandemia da coronavirus non dovrebbe essere annoverata tra gli eventi sorprendenti né tantomeno tra gli eventi X; eppure, il lungo tempo di svolgimento della pandemia, il lungo tempo di impatto delle sue conseguenze negative dagli alti costi in termini sanitari, sociali ed economici, e l’impatto totale in termini di vite umane e di denaro, ne fanno un vero e proprio Evento X o game changer, un esempio di impatto tra sistemi complessi, dall’esito ancora incerto, con cui la Natura sta colmando i divari tra sistemi troppo sbilanciati tra loro.
Meraviglia piuttosto, e non poco, come a contribuire allo sbilanciamento tra i sistemi in gioco ed attualmente sotto pressione, stia impattando proprio il fatto che tutti i Paesi ed i sistemi mondiali non fossero minimamente preparati ad affrontare un evento del tipo pandemia da coronavirus, che pure era stato ampiamente annunciato in maniera profetica.
L’impreparazione ha riguardato pressoché tutti i sottosistemi organizzativi delle società umane considerabili: dalla tenuta dei sistemi sanitari a quelli dell’organizzazione lavorativa e produttiva, da quelli del tempo libero ed entertainment a quelli degli sport professionistici, da quelli dell’amministrazione della giustizia a quelli politici con impossibilità anche di poter proseguire basilari forme democratiche come le votazioni elettorali, dalla modalità di sorveglianza attiva dei casi di infezione e contatti a rischio a quelli della capacità di intervenire proattivamente sugli stessi casi di contatto, etc. (con una lista che potrebbe elongarsi purtroppo troppo a lungo).
I sistemi sanitari sono stati i primi a subire l’impatto, che è stato mitigato grazie alla prova di abnegazione e sacrificio degli operatori sanitari medici, infermieri, etc.
L’emergenza sanitaria e la non disponibilità di trattamenti approvati o sicuramente efficaci ha messo a dura e seria prova un aspetto importante della Medicina, intesa come arte semiotica, come indicazione terapeutica evidence-based, e come scienza applicata e sperimentale che segue precisi metodi scientifici. L’utilizzo off-label dei farmaci, da un lato ha giustamente ribadito e ricordato che l’agire medico deve avvenire secondo una scienza e coscienza responsabile, e seguendo una precisa ed irrinunziabile deontologia professionale, dall’altro ha posto in risalto la necessità di accedere a sperimentazioni cliniche con tempistiche che in tempo di emergenza dovrebbero essere efficienti e più snelle per essere di una qualche efficacia; pertanto sono stati posti dubbi problematici verso i normali tempi burocratici, amministrativi e di sperimentazione che, anche in Italia sono stati semplificati in itinere durante la gestione emergenziale del covid-19. Ogni aspetto di tipo gestionale che sta creando caos e difficoltà in tempo di emergenza, dovrebbe essere attentamente selezionato e studiato per porre le basi affinché divenga una buona lezione per il futuro, visto che non è stato un buon consiglio per il passato.
Nella Fase 1 della pandemia, alcuni medici hanno anche dominato la scena dei media, corteggiati e richiesti da tutte le testate giornalistiche. Nella Fase 2 sono intervenuti comitati di esperti che dovrebbero rappresentare competenze distribuite in tutti i settori nodali della gestione dei danni, non solo sanitari, da pandemia, ma con una sensazione generale che si stia continuando a voler gestire uno scontro tra sistemi complessi con gli strumenti del pensiero lineare che mal si adatta alla situazione attuale.
La Fase 1 della pandemia ha dato una generale sensazione di caos non dominato, e gestito con metodologie emergenziali pensate al momento e non preventivamente stabilite né simulate. La Fase 2 è cominciata sotto i medesimi auspici.
Abbiamo dovuto ascoltare tanta gente ed esimi scienziati e Nobel anche, ma nessuno di questi ha mai conosciuto in precedenza il nuovo coronavirus e nessuno di questi può esprimere un pensiero che non sia una semplice argomentazione di tipo induttivo e quindi priva di validità assoluta.
Fino ad oggi ancora non abbiamo sentito invitare a parlare un nuovo genere di scienziati, purtroppo ancora sconosciuti ai più. Né abbiamo ancora sentito levarsi una voce che prenda in considerazione un pensiero ed un’azione di tipo sistemico. Avremmo bisogno di ascoltare abili utilizzatori dei modelli di tipo abduttivo; gente in grado lavorare in gruppi multi– e trans-disciplinari, in grado di modellare ensemble di dati utili ad affrontare l’emergenza organizzando schiere ordinate ed orientate di azioni finalizzate.
Non abbiamo ancora potuto ascoltare gli esponenti della nuova razza di scienziati in grado di cavalcare le regole del caos: gli esperti dei Sistemi Adattivi Complessi e della Teoria Generale dei Sistemi. Avremmo bisogno di ascoltare e di far agire questi medici dei sistemi malati; è un genere di scienziato umano che ancora non è riconosciuto, che è messo a tacere o che è nascosto ai clamori della ribalta mediatica, ma che pure, a nostro avviso, è l’unico a poterci parlare di come poter gestire eventi estremi e come provare a lavorare per il futuro della nostra fragile civiltà.
Per ora la montagna ha partorito la mascherina ed il distanziamento sociale come le migliori armi contro la pandemia; speriamo di salvare l’umanità con quelli che secondo alcuni già sono feticci della disumanizzazione. Vediamo se siamo in grado di far meglio…

Beniamino Casale, responsabile IPAS Terapie Molecolari e Immunologiche in Oncologia – AO dei Colli – Ospedale Monaldi