Sindrome di Stendhal: quando il bello fa male.

Nel 1817 lo scrittore francese Marie-Henri Beyle patì, ammirando un’opera d’arte nella basilica di Santa Croce a Firenze, uno strano malore che raccontò nel suo libro Roma, Napoli e Firenze.

Ero già in una sorta di estasi per l’idea di essere a Firenze e la vicinanza dei grandi uomini di cui avevo visto le tombe. Ero arrivato a quel punto di emozione dove si incontrano le sensazioni celestiali date dalle belle arti e i sentimenti appassionati.

Lo scrittore francese protagonista del singolare malessere si faceva chiamare Stendhal ed era stato colpito da quella che sarebbe poi passata alla storia, appunto, come Sindrome di Stendhal.

Il disturbo, però, sarebbe stato portato alla ribalta e preso in considerazione solo moltissimi decenni dopo: nel 1977, infatti, la psichiatra fiorentina Graziella Magherini, a seguito di numerosi ricoveri di pazienti che riferivano sintomi particolari dopo aver visitato mostre e musei, ne ha analizzato le cartelle, ne ha ricondotto la sintomatologia alla Sindrome di Stendhal, e le ha dato finalmente collocazione, inserendola tra i disturbi psicosomatici transitori.

La Sindrome di Stendhal si presenta in maniera improvvisa ed inaspettata, soprattutto in persone giovani e di sesso maschile e con buon livello culturale: è un disturbo psico-somatico che, in alcuni soggetti, si manifesta alla vista di opere d’arte, architettoniche, pittoriche, soprattutto se collocati in spazi chiusi.

La sintomatologia psico-fisica riferita dai soggetti colpiti è diversa e di intensità variabile: vertigini, confusione mentale, dispnea, tachicardia, euforia, depressione, attacchi di panico, svenimento, allucinazioni…

Ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere.

Solitamente, il malessere diminuisce fino a scomparire del tutto allontanandosi dall’opera d’arte; tuttavia si sono registrati casi in cui esso perdura per ore e, in casi rari, per alcuni giorni.

La dottoressa Magherini ha elaborato anche una teoria rispetto allo sviluppo della sindrome, ritenendo che l’impatto emotivo e destabilizzante che sopraggiunge in un soggetto piuttosto che in un altro è determinato da diversi fattori, suddivisi in intrinsechi ed estrinsechi.

I fattori intrinsechi, di evidente derivazione freudiana, sono quelli che riguardano il vissuto personale e sono derivanti dalle emozioni e dai sentimenti primordiali, riconducibili al rapporto tra madre e figlio.

I fattori estrinsechi sono, invece, di tipo culturale ed intellettuale e sono correlati alla formazione e alle ideologie del soggetto.

In definitiva, la visione dell’opera d’arte e del bello in genere, secondo la concezione della psichiatra toscana, cattura l’attenzione del fruitore richiamando alla sua memoria vissuti personali e sociali in maniera così intensa e prepotente da far accendere in lui la sintomatologia della Sindrome di Stendhal.

Guardare il bello può essere destabilizzante, può trasmettere incredulità, emozione, desiderio di gridare senza avere voce per farlo.

Guardare il bello può essere al contempo fantastico e spaventoso, può comportare desiderio di restare a guardare e, contemporaneamente, voglia di scappare.

Guardare il bello, in ogni sua poliedrica forma, può essere un’esperienza di contemplazione e, allo stesso tempo, di repulsione, ma mai di indifferenza… Soprattutto, mai di dimenticanza… come dallo stesso Marie-Henri Beyle, in arte Stendhal, abbiamo avuto modo di imparare…

Parto. Non dimenticherò né la via Toledo né tutti gli altri quartieri di Napoli; ai miei occhi è, senza nessun paragone, la città più bella dell’universo.

Rosa Maria Bevilacqua, Sociologa, A.O.R.N. “San Giuseppe Moscati”- Avellino, Delegata alla Sanità ASI (Associazione Sociologi Italiani)

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