Un tempo, neppure tanto lontano, anzi piuttosto vicino, il telefono veniva usato con parsimonia: in casa l’apparecchio disponibile era uno collocato in cucina o nel soggiorno, le telefonate private non esistevano, la privacy non si sapeva cosa fosse, ci si scambiava impegni e appuntamenti ai quali, volendo, avrebbe potuto partecipare tutta la famiglia! I due interlocutori potevano solo immaginare come, durante la chiamata, fosse vestito, pettinato, seduto l’altro: le videochiamate ancora non avevano tolto spazio alla fantasia.
Per strada, in zone piuttosto trafficate, più raramente isolate, sorgevano le cabine telefoniche: gli avventori più fortunati potevano utilizzarne di chiuse e riparate dal freddo, dalla pioggia e da orecchie indiscrete! Un gettone, una scheda in tempi più recenti, e la voce, attraverso un filo, raggiungeva un’altra voce che poteva essere quella di un genitore, di un figlio, di un amico, di un compagno…
Auguri per Natale, notizie sullo stato di salute, correzione di compiti scolastici, organizzazione di serate, baci, sospiri e promesse d’amore… quanta vita scorreva tra quelle cornette ingiallite dal tempo e dalla voce! E quanto bello era poi vedersi di persona e scambiarsi saluti come se a dividere, poco prima, ci fosse l’oceano e non solo un filo…
E a volte l’oceano ci stava realmente e allora davvero quel filo univa, aiutava a ritrovarsi, regalava qualche minuto di felicità e di calore e telefonate brevi e telegrafiche (soprattutto se effettuate da cabine pubbliche) spesso erano preludio ed attesa di incontri futuri più lunghi ed intensi.
<<Potresti anche telefonarmi e dirmi in un soffio di vita che hai bisogno del mio racconto:
favole di bimba che legge i sospiri, favole di una donna che vuole amare>>
(Alda Merini – Potresti anche telefonarmi)
Un giorno, poi, sono arrivati i cellulari e gli smartphone che a tutto servono, tranne che a telefonare; eppure le premesse erano diverse ed erano pure buone: grazie alle potenzialità degli apparecchi, sarebbe stato più semplice tenersi in contatto, sarebbe stato magnifico vedersi oltre che parlarsi, sarebbe stato simpatico scambiare chiacchiere, pensieri e parole mentre si è in coda alla posta o in banca…
Nulla di tutto questo.

La voce è stata sostituita da messaggi inviati spesso <<in serie>> o addirittura ricevuti e inoltrati senza neppure assicurarsi di quello che c’è scritto… e il danno è stato pure di altro tipo, perché oltre che con la cornetta, non si parla più neppure a voce! Troppo impegnati a interagire con lo smartphone, non si discute più mentre si è in fila o si è in viaggio con le persone che ci circondano, addirittura in spiaggia o al ristorante il ticchettio delle dita sul touchscreen fa più rumore delle onde del mare o delle stoviglie sul tavolo.
Eppure gli studi condotti sui danni derivanti dall’uso spropositato di telefonini e simili parlano chiaro: si tratta di danni igienici, di salute, di distrazione e di isolamento ed anche di costi, per chi è un patito dell’ultimo modello o di servizi che sono spesso a pagamento.
Il cellulare è considerato tra gli oggetti più sporchi in assoluto: migliaia di batteri e germi emigrano da ambienti ed oggetti pubblici sul telefono ogni volta che questo viene poggiato su tavoli, scrivanie, lavandini, mensole, sedili oppure toccato con mani non propriamente pulite.
La posizione che viene spesso assunta per non smettere di usare lo smartphone mentre si fa altro (ossia mantenendolo stretto tra orecchio e collo) causa, nel tempo, dolore al collo, ma anche alla spalla, lungo il braccio, addirittura alla schiena. Il telefonino comporta stanchezza visiva e secchezza oculare, blocco del pollice, per non parlare del (per adesso) presunto legame tra cancro e uso del portatile.
Nel foglio di istruzioni che accompagna il cellulare vi è la postilla in cui si raccomanda ai portatori di apparecchi acustici, pacemaker, defibrillatori di farne un uso attento e diligente.
Frequentemente si parla al telefono mentre si è alla guida, provocando incidenti e danni dovuti a disattenzione, distrazione e superficialità.
Infine, vale la pena ribadire quanto l’uso smodato del cellulare crei isolamento, depersonalizzazione e dipendenza dal magico telefono senza fili: ore intere in attesa di un WhatsApp che magari non arriverà semplicemente perché l’altro, cioè chi avrebbe dovuto inviarlo, sta avendo un problema tecnico di connessione.Paul Watzlawich, psicologo e tra i maggior esperti di comunicazione, in uno dei Cinque assiomi della comunicazione da lui enunciati, affermava che non si può non comunicare: attualmente, e con grande amarezza, non mi sembra azzardato puntualizzare che, purtroppo, oggi si può non comunicare a causa di un mezzo che avrebbe, invece, dovuto aiutarci a comunicare meglio e più agevolmente.

Rosa Maria Bevilacqua, Sociologa, A.O.R.N. “San Giuseppe Moscati”- Avellino, Delegata alla Sanità ASI (Associazione Sociologi Italiani)