Social, manipolazioni e haters

Il numero di persone iscritte a Facebook in Italia ha superato i 37 milioni, ben più della metà della nostra popolazione. Sebbene molti utenti e, in particolare, bambini e adolescenti ne facciano un uso marginale, l’utilizzo del social pare possa rappresentare un serio pericolo per la salute psicologica dei minori, specialmente in età pediatrica, se non monitorato con attenzione dai genitori.

Contenuti violenti, fake news e il proliferare degli haters, persone che si scagliano con odio nei confronti di altri utenti per qualsiasi motivo, dalla fede calcistica alla professione esercitata, dall’orientamento politico alla posizione provax o novax, alla religione, all’etnia di appartenenza, rappresentano una serie minaccia per l’età evolutiva dei nostri figli.

Negli Stati Uniti, patria del fenomeno mondiale ideato da Mark Zuckenberg, a inizio ottobre ha fatto scalpore la denuncia di Frances Haugen, ingegnere trentasettenne del team americano che, ospite del talkshow 60 Minutes della CBS, ha dichiarato che Facebook incoraggia di proposito odio e violenza verbale tra i propri utenti” per aumentare la visione dei post e, conseguentemente, i profitti.

Secondo la Haugen, ciò sarebbe causato da alcuni algoritmi appositamente sviluppati per fornire maggiore visibilità a contenuti divisivi e contrastanti, a volte anche falsi, in grado di far scaturire discussioni violente tra gli utilizzatori della piattaforma. Le accuse denunciate all’intervistatore Scott Pelley durante la trasmissione sono di indubbia gravità.

C’era conflitto tra ciò che era buono per il pubblico e ciò che era buono per Facebook, perciò hanno scelto più e più volte di ottimizzare per i propri interessi, cioè di fare più soldiha raccontato la Haugen– “E’ più facile ispirare le persone alla rabbia che ad altre emozioni. Hanno pensato che se avessero cambiato gli algoritmi per rendere il sistema più sicuro, la gente avrebbe speso meno tempo sui social e quindi avrebbe cliccato meno le inserzioni pubblicitarie”.

Le accuse dell’ex manager riguardano anche l’operato di Facebook in ambito politico. Fra i compiti del team di Haugen in azienda, come riportato in un’inchiesta pubblicata su la Repubblica, c’era quello di vigilare sulle elezioni in tutto il pianeta e capire come i vari governi avrebbero potuto utilizzare il social per diffondere notizie a loro favorevoli (spesso fake news) che impedissero un equo confronto democratico. Ma le risorse destinate al team erano scarse e insufficienti per la complessità di quel compito, che peraltro prevedeva la conclusione in un tempo troppo breve. Pertanto solo una piccola parte dell’odio che circola su Facebook poteva essere controllata ed eliminata: “Abbiamo stimato di poter intervenire solo sul 3-5% dei contenuti d’odio e sullo 0,6% di quelli di violenza e incitamento alla violenza, nonostante i nostri strumenti fossero i migliori del mondo in questo ambito”, ha dichiarato la Haugen.

Il management del social replica alle accuse, dichiarando che “Proteggere la nostra comunità è più importante che massimizzare i nostri profitti. Chi dice che chiudiamo un occhio ignora questi investimenti, comprese le 40mila persone che lavorano per la sicurezza su Facebook e il nostro investimento di 13 miliardi di dollari dal 2016”. La società, nel report sugli standard della popolare community, sostiene di rimuovere contenuti violenti e, nel terzo trimestre di quest’anno, spiega di aver rimosso 9,2 milioni di contenuti di bullismo e molestie, con un tasso proattivo del 59,4%. E 7,8 milioni di contenuti di bullismo e molestie su Instagram con un tasso proattivo dell’83,2%.

Ma la ex dipendente Frances Haugen non si ferma. Dopo un’audizione al Senato negli USA ne segue un’altra a inizio novembre alla commissione per il mercato interno del Parlamento Europeo : “Sono qui perché penso che i prodotti di Facebook danneggino i minori, indeboliscano le nostre democrazie. La direzione dell’azienda sa come rendere Facebook e Instagram più sicuri ma non è disposta a fare i cambiamenti necessari perché i profitti sono più importanti. Le conseguenze sono molto gravi”, dichiara la Haugen, e conclude:  “La piattaforma Facebook danneggia la sicurezza e la salute delle nostre comunità. Le democrazie devono intervenire ed elaborare nuove normative”.

Sempre secondo la giovane ingegnere, Facebook e Instagram “Creano dipendenza. Le app di Zuckerberg sono come il fumo e gli oppioidi”. Sottolinea di essere soprattutto preoccupata per il rapporto che i più giovani hanno coi social, a partire da Instagram: oltre il 6% dei bambini, risulterebbe talmente dipendente da esserne danneggiato materialmente, nella salute e nel rendimento scolastico. Gli effetti collaterali di tale dipendenza sarebbero i disturbi alimentari, il rapporto degli adolescenti con la propria immagine e il bullismo.

A questo si aggiunge il potere mediatico dei social sui giovani e le sfide che vengono ripetutamente pubblicate. Nota quella del secchio di acqua ghiacciata, con un’infinità di video di adolescenti in costume da bagno che dimostravano la loro tempra versandosi l’acqua gelata addosso, debitamente ripresi dal cellulare, per poi postarlo su Facebook o su Instagram.

Più preoccupanti sono quei giochi che fanno riferimento all’autolesionismo, fino ad arrivare al suicidio. Nel 2017 ha fatto scalpore la blue whale challenge, la sfida della balena azzurra nata in Russia qualche anno prima, che suggestionava i ragazzi facendoli compiere atti sempre più pericolosi, come sporgersi dai parapetti, finestre, balconi e, in ultima ipotesi, addirittura a suicidarsi. 50 giorni con tappe sempre più rischiose per salire di livello del gioco condivise da gruppi su WhatsApp e sui social che reclutavano i concorrenti, con forte impatto sugli adolescenti, spesso non in grado di distinguere il gioco dalla sicurezza personale.

Non è chiaro chi sia l’inventore del gioco e se veramente istigasse al suicidio. Secondo lo UK Safer Internet Center il Blue Whale è un esempio di fake news sensazionalizzata. Quale che sia la verità, il fenomeno pare sia scemato progressivamente, per fortuna. Va comunque ricordato che comportamenti di emulazione sono frequenti fra gli adolescenti, e il bisogno di appartenenza al gruppo, al branco, fa sì che siano troppo spesso propensi a commettere azioni che non condividono, o a convincersi che sono l’unica soluzione in un mondo sempre più virtuale.

Il deep o dark WEB è sempre più pericoloso per i giovanissimi. Osservazione dei comportamenti, dialogo coi propri figli e monitoraggio di tempo e abitudini su social sono pratiche difficili, ma decisamente necessarie per prevenire situazioni ad alto rischio per i propri cari.

Carlo Negri, esperto di marketing farmaceutico e comunicazione in Sanità

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