“a te che hai attraversato vittoriosa
il più terribile dei deserti”
Quanti sono i deserti del pianeta Terra? Tanti davvero e tutti diversi tra loro. Il Sahara è sicuramente quello più conosciuto e più presente nell’immaginario collettivo, ma ce ne sono molti altri, sicuramente meno noti, ma altrettanto “potenti” nel loro essere mondi particolari, dotati di una loro forza e di un’attrattiva magica e misteriosa.
C’è il deserto del Gobi, tra Mongolia e Cina, quello attraversato da Marco Polo, dallo studioso gesuita Teilhard De Chardin e dalla misteriosa Divisione Asiatica di Cavalleria agli ordini del leggendario generale Von Ungern Sternberg, in lotta perenne contro l’Armata Rossa, nei primi anni del potere sovietico. C’è il Rub al Khali nella penisola arabica, quello delle cronache dell’esploratore John Philby, il padre di Kim Philby, la più famosa spia doppiogiochista degli anni della guerra fredda. E poi il Taklamakan dell’Asia Centrale, dove soffia quel vento chiamato “buran”che alza altissime colonne di sabbia ed il Grande Mare di Sabbia, tra Egitto e Sudan, che dicono sia il posto più arido del mondo. Ed ancora il deserto africano della Namibia, con le sue dune gigantesche e quello di Atacama, tra il Perù ed il Nord del Cile, dove spuntano dalla sabbia quei piccoli fiori rossi stupendamente descritti da Luìs Sepulveda nel suo bellissimo libro dal titolo accattivante de “Le rose di Atacama”. E poi tanti, tanti altri ancora . Tutti affascinanti luoghi fisici che finiscono con il diventare, inevitabilmente, anche luoghi dello Spirito.
Oggi, voglio ricordare e raccontare uno di questi luoghi, uno meno esteso di tanti altri, ma che ha lasciato un’impronta forte nella mente e nell’anima di chi come me lo ha attraversato tanti anni fa, per seguire le tracce di un personaggio eccezionale quale fu Thomas Edward Lawrence, esploratore, soldato ed uomo di grande cultura, uscito dalla Storia ed entrato nella Leggenda con il nome evocativo di Lawrence d’Arabia. Sto raccontandovi del Wadi Rum, uno dei posti più spettacolari del Medio Oriente. Il deserto rosso della Giordania.

E’ difficile spiegare l’attrazione che esercita il deserto su chi ha la ventura di attraversarlo. La solitudine, il vento, l’aria secca priva di umidità con i suoi bagliori accecanti, lo spazio infinito dove il tempo sembra fermarsi e cristallizzare i nostri pensieri, i nostri sogni, i miti e le leggende in una specie di straniamento esistenziale che non ha eguali. E di notte….di notte, le stelle che splendono nel cielo terso ti sembra di toccarle, di accarezzarle con la punta delle dita.
Ebbene, il Wadi Rum, il deserto giordano, è tutto questo ed anche qualcosa di più, con le sue montagne di granito, di basalto e di arenaria, i suoi canyon e la sua sabbia rossa, bellissima. E’ a qualche decina di chilometri da Aqaba, la città sul Mar Rosso che l’armata beduina dell’Emiro Faisal, di cui il giovane Lawrence era consigliere militare ed ufficiale di collegamento per conto degli Inglesi, ha strappato agli occupanti turchi, prendendola alle spalle, dopo una memorabile quanto apparentemente impossibile traversata del deserto, nel lontano 1917.

Appunto…il deserto. Il Wadi Rum è un deserto atipico, quasi privo di dune, ma il suo paesaggio lascia davvero a bocca aperta. Il cielo è azzurrissimo, quasi sempre privo di nuvole e le sfumature rossastre della sabbia sono cento e più e giocano tra di loro, facendo tutt’uno con il colore delle rocce. Sembra vivere fuori dalla Storia, questo deserto rosso, ed invece vi è immerso. I suoi canyon, dalle forme più strane, celano iscrizioni millenarie e tracce di pitture dell’antichissimo popolo dei Nabatei che raffigurano persone ed animali e sono davvero uno degli aspetti più belli di questo deserto, insieme al colore dei tramonti che si dice cambino con l’alternarsi delle stagioni. Ma certo, nulla è più coinvolgente della notte, nel Wadi Rum. Come in tutti i deserti, di notte ti sembra, sì, di poter toccare le stelle, ma nel Wadi Rum, guardando il cielo per riconoscerne le costellazioni splendenti, non sai proprio se sei davvero tu che riesci a toccarle o se sono loro che si avvicinano a te per accarezzarti e nel silenzio più profondo puoi cogliere solo il rumore leggero del vento, coperto, a volte, dal crepitio del fuoco che le guide beduine hanno acceso per riscaldarsi e riscaldare i viaggiatori. Ed intorno al fuoco, dove spesso capita si fermino anche le pattuglie cammellate della Desert Patrol, la polizia del deserto, puoi ancora ascoltare storie beduine e racconti di guerra della grande rivolta araba del 1916/18, quella fomentata dagli Inglesi contro i Turchi occupanti e di cui il giovanissimo Colonnello Lawrence è stato artefice ed anima., in quel lontano fronte mediorientale che è stato propaggine estrema della Grande Guerra che dilaniava l’Europa.
Tra storia militare e leggenda, la straordinaria impresa di questo inglese colto, intelligente, eccentrico, ma per nulla snob, ha insomma nel deserto rosso del Wadi Rum il suo luogo di eccellenza, di cui ancora è conservata la memoria generazionale tra i discendenti delle tribù beduine che combatterono con Lawrence, vero e proprio re senza corona che ha lasciato un ricordo indelebile nel cuore dei beduini e nella storia del Regno di Giordania. Tanto che fino a trent’anni fa capitava ancora di incontrare qualche vecchio nomade con i capelli bianchi che amava ricordare le sue battaglie di gioventù al fianco di El Orens o di Aurans Bey, che di si voglia, quello strano ufficiale vestito da arabo, che parlava arabo e combatteva come un guerriero “bedù”…. Vecchie storie di un passato glorioso che sembrava potesse avere il sapore ed il profumo della Libertà, prima che il sogno della rivolta beduina e le idee e gli ideali di T.E.Lawrence si scontrassero con la realtà della politica spartitoria del primo dopoguerra, ad esclusivo vantaggio delle potenze vincitrici.
Ed il giovane ufficiale che, con entusiasmo, aveva fatto propri gli slanci nazionalisti della rivolta araba del deserto, ingannato, disilluso ed amareggiato decise così di sparire, di assumere una nuova identità militare sotto falso nome, di entrare nell’anonimato per dimenticare ed essere dimenticato, tentativo che naturalmente risultò particolarmente difficile, praticamente impossibile, nonostante tutti i suoi sforzi.

Mori nel maggio del 1935,schiantandosi con la sua motocicletta nei pressi della sua casa di campagna.
Il Wadi Rum, oggi, continua ancora a raccontare questa storia a chi vuole avere occhi ed orecchie, per vedere e per ascoltare ed a chi voglia tener memoria di un vicenda affascinante e romantica che la sua sabbia rossa continua ostinatamente a proporci, quasi supplicandoci di non farla sbiadire, di non farla evaporare per sempre, di non farla diventare inconsistente ed irreale come uno dei tanti miraggi della terra deserta di Giordania, dove da sempre hanno speso le loro vite santi, profeti e guerrieri.

Michele Chiodi, già dirigente di istituti finanziari, collabora con periodici e associazioni culturali