Nel precedente articolo abbiamo accennato alla linea Nikolais, ora vedremo quali sono stati i massimi esponenti di questo filone.
Il primo è il ballerino e coreografo americano Murray Louis, che creò una tecnica molto vicina a quella del mimo, dunque una danza concisa e sintetica, capace di mantenere una spontaneità apparente, al di là di ogni tensione espressiva.
Abbiamo poi la Black- Dance, la scuola di danzatori moderni di colore; dalla metà dell’800, dopo la liberazione dalla schiavitù, i neri cominciarono a contribuire, con la loro esperienza di culture africane, all’evoluzione della danza negli Stati Uniti come, ad esempio, il tip tap, la prima danza americana autoctona di origine nera.
L ‘influsso degli afroamericani sulla cultura statunitense ebbe un ‘entità sempre maggiore e non solo nella danza ma in tutto il mondo dello spettacolo; nella musica nascono il jazz e il blues che rappresenteranno l’evoluzione della musica americana del secolo.
Ci fu una innovazione anche nell’uso degli strumenti, come le percussioni e i colpi ritmici dei piedi sul terreno, autentici retaggi della danza africana che influenzarono lo sviluppo della modern dance americana.
Fino agli inizi del 900, la cultura americana identificava la danza dei neri solo con la figura del ballerino di colore; negli spettacoli di varietà, venivano imitati dai ballerini bianchi che riproducevano l’immagine del nero buono e sottomesso.
Verso il 1920 il nero americano iniziò a ribellarsi culturalmente a questa immagine, ricercando una loro identificazione corrispondente alla realtà socio culturale di appartenenza.
Nella danza questa identificazione si delinea soprattutto grazie al lavoro di Katherine Dunham e di Pearl Primus; dedicandosi entrambe alla ricerca della black dance partendo dallo studio delle danze caraibiche e africane.
Un famoso ballerino e coreografo statunitense di colore fu Alvin Ailey, il quale dopo aver lavorato a Broadway e studiato con Martha Graham, Doris Humprey e molti altri, fondò la sua compagnia, l’Alvin Ailey Dance Theater, formata da soli danzatori neri, compagnia molto importante con il massimo marchio di ufficialità creando così anche il suo stile coreografico, colorato, eccitante, sensuale, frenetico, ricco di pura energia afroamericana. Ailey attuò una sintesi delle varie tecniche fondendole in un unico codice organico che ancora oggi viene insegnato nella sua celebre scuola di dance di New York, l’Alvin Ailey appunto.
Dai primi anni ‘60 si ribalta la precedente stabilizzazione dei sistemi tecnici della modern dance con la nuova estetica americana di Merce Cunningham.
Con lui ebbe inizio il movimento coreografico post-modern con un nuovo filone detto nuovo formalismo in cui spiccarono il mondo barocco di Alvin Nikolais e la purezza di Merce Cunningham, da cui nasce la post modern dance.
Le caratteristiche di questa nuova variante rientrano in una danza spogliata da elementi superflui ed effetti spettacolari. La post-modern dance si propone di restituire al corpo il suo campo operativo specifico; il movimento inteso come evento dinamico, libero da qualsiasi sistema o regola accademica.

Inoltre, il procedimento creativo del coreografo post-modern si colloca in una logica di dinamica critica e sperimentale, che reintroduce il concetto di laboratorio coreografico che sostituisce la nozione di spettacolo e quella di performance che trasforma il pubblico in interlocutore attivo che partecipa al processo di elaborazione creando così un passaggio dalla show art alla performing art in cui è decisivo il contributo di Robert Dunn che rappresenta, con il lavoro, il primo nucleo centrale della post-modern dance.
Tutto il filone della post-modern dance degli anni 60-70 si baserà su di un binomio: l’arte dell’improvvisazione da un lato, e l’arte della composizione rigorosa dall’altro.
Negli anni ‘80 l’improvvisazione scompare; nasce il nuovo stile di Twyle Therp e la danza contemporanea assume un’espressione artistica, culto della negritudine, vale a dire giovani ballerini di colore che intervengono con la break-dance e il ritorno all’amore per la tecnica; dunque si torna al balletto classico in associazione con la danza contemporanea.
Per concludere, da ex ballerina e insegnante di modern dance, a mio avviso tutto ciò che si vede oggi non è mai quasi nulla di innovativo bensì una copia di ciò che la modern dance ci ha donato nel passato. Chi non ne conosce la storia non lo sa, e nell’ insegnamento c’è la liberta di mescolare varie tecniche e di creare un proprio stile che deve essere sempre formativo e basato comunque sui principi della tecnica della danza classica.

Simona Di Martino. Insegnante di danza modern contemporary e di PBT (Progressive Ballet Tecnique), coreografa, stilista. Ha studiato scienze politiche. Ama lo sport e i viaggi.