Uno degli eventi più conosciuti della Seconda guerra mondiale è la disastrosa campagna di Russia che portò alla morte quasi centomila militari italiani e alla conseguente terribile ritirata dal fronte del Don: ebbene mentre questa pagina di storia è nota anche grazie ai tanti libri scritti sull’argomento, come il famoso “Centomila gavette di ghiaccio”, è invece quasi del tutto sconosciuta una storia simile avvenuta nel corso della Prima guerra mondiale, anche essa in Russia, che ebbe per protagonisti i soldati italiani delle Terre Irredente, cioè non liberate, nati in quelle Regioni che dopo la Terza Guerra d’Indipendenza l’Italia non era riuscita ad annettere e che erano rimaste ancora sotto il dominio dell’Imperatore d’Austria, come il Trentino, l’Istria ecc.
Mentre nella Seconda guerra mondiale i soldati in ritirata dalla Russia riuscirono a tornare verso i confini italiani, così non si può dire dei militari Irredenti, che, per rientrare a casa, dovettero attraversare la Siberia per trovare un porto dal quale imbarcarsi per l’Italia.
L’incredibile storia nasce nel 1914 allo scoppio della guerra: a quel tempo molti italiani erano ancora sudditi dell’Impero Austro-Ungarico, infatti erano rimasti sotto il dominio asburgico Trento, Trieste, l’Istria, la Dalmazia, le cosiddette Terre Irredente, che avrebbero voluto ricongiungersi alla Madre Patria. Quando iniziò la guerra i soldati di etnia e lingua italiana, quasi centomila, furono mandati a combattere sul fronte russo per evitare di impegnarli sul confine italiano dove avrebbero potuto disertare, fare azioni di spionaggio o addirittura fraternizzare con il nemico: di conseguenza molti di questi soldati, circa 25.000 furono fatti prigionieri dai Russi.
Nel 1916, per motivi anche propagandistici, l’Italia decise di accordarsi con lo Zar, che era suo alleato contro l’Austria-Ungheria e la Germania, per liberare dai campi di prigionia russi i soldati di etnia italiana che avevano combattuto fra le file dell’esercito asburgico, in modo che rimbalzasse agli occhi del Mondo la volontà degli Irredenti di essere Italiani. A tale scopo fu dato l’incarico di rimpatrio all’Arma dei Carabinieri, che affidò il compito al Capitano Marco Cosma Manera, un piemontese poliglotta che parlava otto lingue fra cui il Serbo, il Bulgaro, il Turco e il Russo. Il capitano doveva rintracciare questi soldati nei vari campi di prigionia sparsi in tutta la Russia per facilitarne il rientro in Italia. All’inizio le operazioni si svolsero regolarmente, un primo contingente di 1700 prigionieri, consegnati dall’esercito zarista, fu imbarcato su una nave che, partendo dal porto di Arcangelo sul Mar Bianco, circumnavigò la penisola scandinava sotto il Mare glaciale Artico per raggiungere l’Inghilterra e poi l’Italia, ma, successivamente, quando si stavano raccogliendo altre migliaia di prigionieri detenuti nei campi di prigionia, nell’ottobre del 1917 scoppia la Rivoluzione Bolscevica e la Russia diventa un immenso campo di scontri fra Rivoluzionari e Russi Bianchi fedeli allo Zar.
Cosma Manera è coraggioso, ha il carisma necessario per tenere uniti questi militari sbandati e ha anche la capacità organizzativa per portarli in salvo, per cui, considerato che non è possibile rientrare in Italia attraverso territori in cui si svolge una guerra civile e che non ci sono più porti per imbarcarsi per aggirare i combattimenti, decide di attraversare, con oltre 3000 uomini liberati, la Siberia per raggiungere il lontano porto di Vladivostok sull’Oceano Pacifico.

Probabilmente molti Irredenti si uniscono a Cosma Manera, non tanto per motivi ideali, ma perché il Capitano è l’unico che li può portare fuori da quell’Inferno Bianco con temperature glaciali e da un Paese in pieno caos, travolto da una guerra civile: sono denutriti, malati, distrutti dal lungo tempo trascorso nei campi di lavoro e vogliono una sola cosa: tornare a casa da quelle famiglie di cui non hanno notizie da anni.
Cosma Manera allora assume un’iniziativa intelligente: si mette d’accordo con un capostazione della Ferrovia Transiberiana e aggancia un vagone pieno di ex prigionieri, che in una cinquantina alla volta vengono fatti salire sui vari treni della linea che, ancora funzionante, va verso Est, unica via di fuga. In treno i militari percorreranno i 7500 km della linea ferroviaria fra disagi incredibili, dovuti alla fame, al freddo, alle malattie per arrivare finalmente a Vladivostok dove Cosma Manera trova una nave inglese per far rientrare in Italia per primi i feriti e i malati: il viaggio sarà lunghissimo, quasi un giro del mondo, infatti la nave attraverserà l’Oceano Pacifico per arrivare in California e qui questi militari saranno messi sui treni diretti a New York per imbarcarsi finalmente su un’altra nave che li porterà in Europa.
Il Capitano decide, allora, non avendo trovato altre navi a Vladivostok, di proseguire con gli uomini validi verso Tientsin in Cina (poco distante da Pechino), un piccolo territorio su un fiume, concesso agli Italiani, che, con la partecipazione di 2000 soldati, soprattutto marinai, avevano represso, affiancando Inghilterra, Francia, Russia ecc., nel 1901, la rivolta dei Boxer contro le Potenze Occidentali. L’Italia cominciò a costruire nel territorio della concessione un piccolo modello di città italiana con il suo Ospedale, la sua Chiesa, le sue Piazze, il suo monumento alla Vittoria, presidiando militarmente la città con i marinai del Battaglione San Marco, un luogo che fu la base di importanti rapporti commerciali con la Cina. La concessione fu perduta ufficialmente nel 1947 ed oggi il quartiere italiano di Tientsin, rimasto intatto, costituisce un’attrazione turistica per i visitatori.

Parallelamente all’impresa di Cosma Manera se ne svolge un’altra simile che ha per protagonista un misterioso personaggio: il ragioniere Andrea Compatangelo, nativo di Benevento, proprietario di una Ditta di Import-Export a Samara, importante città ai confini fra Russia europea ed asiatica sul fiume Volga. Questi, sorpreso dalla Rivoluzione bolscevica e temendo ritorsioni contro gli Italiani, appreso che molti Irredenti sono prigionieri dei Russi, decide di organizzare un esercito privato, per cui si presenta alle Autorità zariste, spacciandosi per un Capitano di una grande Potenza Occidentale e chiede la consegna dei militari: i Russi sono ben lieti di liberarsi di tanti uomini e li affidano al falso Ufficiale. Compatangelo, anche per dare un’immagine di Ordine e Disciplina inquadra oltre 300 prigionieri in un Battaglione che chiama “Savoia”. Anche lui sa che l’unica via di fuga è verso Vladivostok, per cui decide di aprirsi la strada combattendo con i suoi uomini accanto ai Russi fedeli allo Zar e ai Cecoslovacchi, ottenendo in cambio armi, munizioni, divise e cibo.
Man mano altri prigionieri vanno ad infoltire i ranghi del Battaglione “Savoia” e Compatangelo, allora, si impossessa di un treno della Transiberiana sul quale carica anche il Tesoro della Banca di Stato di Samara, che consegna intatto alle Autorità dello Zar ad Omsk. Sfidando i 40/50 gradi sottozero raggiunge con il suo esercito personale la città di Krasnojarsk dove viene a sapere, nell’ottobre 1918, che un Corpo di spedizione italiano è stato inviato in Russia per combattere contro i bolscevichi e i loro alleati tedeschi, per cui cerca di mettersi in contatto con il Comandante.
Questi viene informato dai Francesi che in quella zona è presente un Capitano italiano che, grazie alla sua intraprendenza, ha salvato due militari francesi dalle mani dei rivoluzionari, fingendosi corrispondente del giornale italiano socialista l’Avanti che simpatizzava per le idee bolsceviche; per il Comandante è una sorpresa, non gli risulta nessun battaglione in quella zona e questo Compatangelo è un perfetto sconosciuto. Quando la Spedizione italiana lo incontrerà, sarà emarginato dai militari perché lui è solo un civile, che si è attribuito, indebitamente, un grado che non gli spettava ed i suoi uomini sono volontari raccolti qua e là, di cui non c’era da fidarsi troppo dato che prima avevano combattuto per gli Austriaci.
Compatangelo cerca, allora, di raggiungere con i suoi uomini Vladivostok dove si incontrerà, finalmente, con Cosma Manera, delle cui imprese è stato informato e gli consegnerà il Battaglione “Savoia”, che unendosi agli ex prigionieri che avevano seguito Cosma Manera, costituirà quella che verrà chiamata la Legione Redenta, che, dopo aver giurato fedeltà alla nuova Patria, continuerà ancora a combattere, insieme agli alleati, in Russia (mentre in Europa la guerra è già terminata) per contrastare quella Rivoluzione che rischia di espandersi in altre Nazioni .
Compatangelo, la cui impresa non può essere riconosciuta dalle rigide regole della mentalità militare dell’epoca, verrà messo da parte ed aprirà un’attività commerciale a Shanghai dove morirà, dimenticato, nel 1932.
Cosma Manera terminerà il suo compito dopo aver recuperato circa 10.00 prigionieri dispersi nell’Inferno siberiano e finalmente tornerà in Italia con un viaggio di due mesi attraverso l’Oceano Indiano ed il Canale di Suez, riportando alle loro famiglie i figli di cui non avevano notizie da anni. Sarà promosso e decorato, mentre ad Andrea Compatangelo, che è un civile, non verrà concesso alcun riconoscimento e della sua storia non se ne saprà più niente per quasi cento anni.

La Legione Redenta sbarcherà in Italia nel silenzio generale, ormai Trieste, Trento, Istria ecc. dopo la vittoria della guerra erano tornate all’Italia e il Governo non aveva più interesse ad esaltare l’eroismo di soldati che comunque avevano combattuto, prima, per l’Austria-Ungheria e poi da Italiani contro la Rivoluzione Russa, cioè contro quel fenomeno popolare socialista che anche in Italia stava conquistando le Masse. Era meglio dimenticare!

Sergio Giaquinto, Giurista, già Dirigente Amministrativo dell’A.O. dei Colli, cultore di Storia e Archeologia