Tempo di guarire

Gli studi condotti negli Stati Uniti sui casi di PTSD (Disturbo da Stress Post Traumatico) riguardanti i reduci di guerra che avevano vissuto esperienze particolarmente traumatiche legate al campo di battaglia, allo stress del combattimento ed agli orrori della guerra vissuta in prima persona –  argomenti di cui abbiamo ragionato nel precedente numero di questo periodico – hanno portato alla elaborazione di alcune interessanti terapie nel campo delle neuroscienze ed alla individuazione di nuove frontiere e di sempre nuove possibilità di intervento finalizzato alla cura di questa vera e propria patologia della mente.

Un’arma relativamente recente ed efficace nella terapia del PTSD è un trattamento chiamato EMDR, acronimo della dizione Eye Movement Desensitization and Reprocessing, (desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari) che sta dimostrando concreta efficacia con un tasso di successo pari al 90 per cento circa dei casi trattati. Ci sono ancora aspetti da approfondire, ma la sperimentazione sul campo ha dato ottimi risultati.

L’EMDR è una tecnica innovativa di psicoterapia introdotta nel 1989 dalla Dottoressa Francine Shapiro; la psicologa della polizia Alexis Artwohl è stata tra i primi terapeuti ad adottarla. Oggi ci sono decine di migliaia di professionisti nel mondo che praticano questo metodo che la Artwohl stessa definì strano, ma davvero efficace.

Pur essendo le neuroscienze una materia in costante evoluzione, possiamo semplificare dicendo che quando una persona è estremamente agitata, il cervello non è in grado di elaborare le informazioni come di consueto. Un evento traumatico può quindi ingolfare l’emotività e lasciarla congelata nel tempo. Quando poi la persona, nella sua vita quotidiana, incontra uno stimolo che le ricorda l’evento, scatta una sorta di interruttore che le fa rivivere l’esperienza con visioni, suoni, odori, percezioni corporee ed emozioni tanto intense quanto lo erano al momento dell’evento vero e proprio.

Gli specialisti, nel far ricorso all’ EMDR, adottano una procedura specifica caso per caso. Prima di tutto il terapeuta aiuta il paziente a individuare un’immagine che rappresenti la situazione originaria (ad esempio una sparatoria, un’esplosione devastante o l’uccisione di un commilitone) e le emozioni e sensazioni corporee associate al ricordo. Il paziente, quindi, si concentra su questi ricordi, mentre guarda il terapeuta che muove una mano o un set di luci, il che induce movimenti volontari degli occhi. In alcuni casi si usano particolari suoni o battiti di mani. Dopo ogni sequenza di movimenti o suoni, si chiede al paziente di commentare brevemente ciò che ha provato. E sebbene i risultati di una seduta di EMDR possano variare molto da persona a persona, quasi sempre il paziente evidenzia progressivamente una riduzione dei sentimenti negativi che stava sperimentando nel ricordo dell’evento.

Che cosa è accaduto nel cervello grazie a questa procedura?

Sappiamo che il nostro mesencefalo può fare una cosa sola per volta e dunque, quando il paziente è occupato a guardare gli stimoli visuali o ad ascoltare quelli sonori generati dal terapeuta, non riesce a concentrarsi sulle proprie manifestazioni di terrore e di allarme.

Per la prima volta dopo l’evento traumatico, il paziente viene così a trovarsi nella condizione di ripercorrere i propri ricordi negativi senza la contestuale rievocazione del terrore.

In altre parole, inizia a separare i ricordi dalle emozioni.

Durante questo processo, il terapeuta è molto attento a supportare il paziente e verificare che non si manifestino reazioni emotive fuori controllo, provvedendo, nel caso, ad interventi adeguati. Ed è così che uno specifico ricordo traumatico si può risolvere anche abbastanza rapidamente, in quanto il metodo risulta essere, nel complesso, efficace e sostanzialmente rapido.

In sintesi estrema e senza addentrarsi ulteriormente nella materia, non avendone lo scrivente le competenze e limitandosi, in queste considerazioni, alle sole risultanze dell’utilizzo della tecnica in questione in ambiente militare o del cosiddetto law enforcement, possiamo dire che, se è vero,  come ha detto qualcuno, che il passato è sepolto, ma per alcuni è sepolto vivo, è acclarato che l’utilizzo della procedura di cui abbiamo sommariamente scritto, ha aiutato e aiuta abbastanza efficacemente ad evitare che i militari o le forze dell’ordine che hanno vissuto direttamente esperienze traumatiche e spaventose nel corso del loro servizio possano regredire drammaticamente nel tunnel senza uscita della paura irrisolta o dell’incubo rivissuto senza soluzione di continuità.

Insomma, tecniche specifiche come l’EMDR, usate tempestivamente per esorcizzare i fantasmi del passato, possono contribuire a contrastare i rischi ed i danni permanenti alla mente ed alla persona di cui abbiamo già scritto su queste pagine.

Ma occorre andare oltre.

Il Disturbo da Stress Post Traumatico non ha avuto sempre le stesse caratteristiche nel tempo e nei diversi periodi storici. Ricordiamo ancora una volta che stiamo limitando la nostra attenzione, in queste brevi note, al PTSD che ha colpito e può colpire tanto i reduci da esperienze belliche particolarmente traumatiche – anche nelle cosiddette missioni di pace dove spesso la pace  non esclude a priori l’uso delle armi, se non altro per legittima e doverosa difesa delle vite umane – quanto gli operatori del già citato law enforcement (le forze di polizia e gli addetti alla sicurezza interna della nazione), ma il discorso è amplissimo ed il disturbo in questione, in una società diventata sostanzialmente violenta, marcatamente individualista e sempre più priva di una mission e di una visione organica e strutturata del proprio destino, riguarda anche un numero sempre più folto di persone, di cittadini, di gente comune, di donne, uomini, ragazzi che vengono ad impattare in eventi improvvisi e drammatici, forieri di traumi forti e di rotture improvvise e disastrose dell’equilibrio esistenziale.

Ma questa è un’altra storia ancora, parallela comunque a quella che abbiamo fin qui affrontato e tale da meritare un successivo futuro approfondimento e una più articolata disamina.

Occorre farla, perché se è vero che c’è un tempo per tutte le cose e che ogni cosa, ogni evento, ha la sua stagione, conviene a noi tutti iniziare a far mente locale e ricordarci che oggi è necessariamente tempo di incominciare a guarire ed a sperare.

Adesso, ora… e non domani.

La preoccupazione per l’uomo e per il suo destino deve sempre costituire l’interesse principale di tutti gli sforzi tecnici. Non dimenticatelo mai, in mezzo a tutti i vostri diagrammi ed alle vostre equazioni.

(Albert Einstein)

Michele Chiodi, già dirigente di istituti finanziari, collabora con periodici e associazioni culturali.

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