La notizia della sparizione del Titan, un sommergibile utilizzato a fini turistici per portare studiosi e curiosi a vedere da vicino i resti del transatlantico britannico Titanic, ha tenuto per diversi giorni il mondo in trepidante attesa di notizie.
Dopo un’ora e 45 minuti dall’immersione del sommergibile, si sono persi i contatti con l’equipaggio: qualcosa di grave e (forse non tanto) imprevedibile era accaduto.
Il sottomarino ha iniziato l’immersione alle ore 8.00 del 18 giugno e sarebbe dovuto riemergere alle 15.00 dello stesso giorno; a bordo cinque persone nessuna delle quali è tornata viva in superficie… probabilmente, anche i loro resti resteranno per sempre dispersi nell’Oceano Atlantico.
Le operazioni di ricerca del Titan sono apparse da subito complicatissime: il relitto del Titanic, vicino al quale inizialmente si pensava si fosse incagliato il Titan, giace da più di 100 anni a 3800 metri di profondità, in acque gelide, al buio completo e con pressione molto elevata.
Le supposizioni fatte circa la sparizione del sottomarino sono state diverse, ma alla fine è prevalsa quella che inizialmente era stata ritenuta come la più grave: il Titan si è disintegrato per una catastrofica implosione e i suoi occupanti sono morti in modo talmente rapido che il loro cervello non ha avuto il tempo di rendersi conto di ciò che stava accadendo.
Forse, per l’equipaggio è stata la fine meno terribile tra le varie possibili, per quanto possa apparire devastante definire meno terribile una morte così violenta ed inaspettata.
I cinque uomini a bordo dell’imbarcazione avevano pagato 250mila dollari ciascuno per imbarcarsi e firmato una liberatoria nella quale erano indicati tutti i rischi (anche quello di morire) legati alla discesa al Titanic: perché, allora, hanno scelto di affrontare un pericolo del genere? Cosa li ha spinti a rischiare la vita per vedere i resti di una nave nella quale morirono 1518 persone innocenti e che non avevano deliberatamente scelto di rischiare?
Le teorie sono diverse e più di stampo psicologico che sociologico, sebbene considerando il fenomeno in una prospettiva maggiormente legata a fattori sociali, viene spontaneo ipotizzare che affrontare situazioni rischiose ed estreme possa aiutare ad emergere in una società che, soprattutto in determinati ambienti, come quelli più ricchi ed elitari (al quale, appunto, appartenevano i cinque uomini del Titan), appare poco stratificata e piuttosto annoiata: affrontare il pericolo significa diversificarsi dagli altri e salire un gradino più in alto di loro…. certo solo fino a quando il pericolo affrontato lo si può raccontare e celebrare dicendo: io c’ero.
Il Titanic era definito la nave dei sogni e forse, per quei tempi, prima che affondasse, lo era davvero … di quei sogni, adesso, resta solo un macabro, triste, silenzioso relitto che qualcuno oggi, contravvenendo alla più banali regole di buon senso e rispetto, decide di andare a vedere da vicino pur sapendo di mettere a repentaglio la propria vita.
Se il Titanic era la nave dei sogni, gli occupanti del Titan avevano dei sogni e uno in particolare li ha accompagnati nel loro ultimo breve viaggio: tornare sulla terraferma e raccontare di ciò che avevano visto…
Del Titan e del suo equipaggio, a causa dell’implosione, non è rimasto neppure il relitto… non ci sarà nessuno, un giorno, che deciderà di scendere nelle profondità marine per andare a curiosare tra i segreti dell’Oceano…
Nessuno potrà avere indietro e piangere le spoglie del proprio figlio, marito, padre, amico…
E intanto le onde continueranno a fluttuare nell’infinito mare e nell’infinito tempo mescolando e nascondendo per sempre i resti di chi, nell’incosciente tentativo di entrare nella storia, sarà presto sopraffatto dall’oblio del tempo e dall’incessante ondeggiare dell’Oceano.
E il loro sogno, effimero e fugace, non troverà nessuno disposto ad ascoltarlo…

Rosa Maria Bevilacqua, Sociologa, A.O.R.N. “San Giuseppe Moscati”- Avellino, Delegata alla Sanità ASI (Associazione Sociologi Italiani)