Ovvero:la complessità degli affetti.
prudentia
«la scienza delle cose che si devono cercare o fuggire»
(Cicerone De officiis, I, 153)
Cosa spinge un ragno a costruire la propria ragnatela?
Questo tessuto vitale (la ragnatela), che Gregory Bateson direbbe parte della mente dell’aracnide, è una istintiva e anaffettiva necessità spontanea di questi straordinari artropodi tessitori di trame e orditi, che operano come animali-zombie, privi di emozioni e che agiscono solo con reazioni comportamentali, o non è piuttosto un’azione edificatoria corredata di sentimenti nucleari, primari e primitivi, che energizzano l’azione costruttiva della tela?
Quali circuiti cerebrali noi esseri umani condividiamo con gli animali a noi più prossimi e con quelli a noi meno prossimi filogeneticamente?
A quale distanza evolutiva possiamo ancora ritrovare analoghi circuiti cerebrali che legano noi uomini con gli altri animali? E con le piante? E con i cristalli?
Fino a quale gradino, della vita organica e della esistenza inorganica della materia, vengono condivisi principi di organizzazione analoghi o simili?
E da quale gradino della vita, vengono condivisi simili circuiti e gli stessi ormoni-neurotrasmettitori e le identiche emozioni che caratterizzano la vita degli animali?
Aristotele si chiedeva se l’intelletto fosse una facoltà messa al servizio della realizzazione delle pulsioni indicate dalle passioni ovvero se le passioni non fossero invece un tonico per energizzare gli obiettivi d’azione indicati dalla ragione.
Oggi, gli studi neuroscientifici, fertilizzati dai modelli delle scienze della complessità – che utilizzano gli strumenti interpretativi basati sulla causalità circolare e sulla cibernetica della mente (nel suo modello ecologico inaugurato da Gregory Bateson) -, gettano una luce nuova su quel vecchio (antico) quesito filosofico esplicitato dallo stagirita.
Secondo molti, la differenza sostanziale tra animali e uomini sta nel fatto che gli animali non sembrano riflettere sulle proprie emozioni e processi neurocomputazionali ma mettono solo in atto azioni e comportamenti innescati come risposte istintuali a stimoli specifici ambientali e loro interni.

Ma è davvero così netta la separazione tra uomini e animali?
Dove finiscono le emozioni? E dove inizia la coscienza?
Che cosa chiamiamo emozione?
Che cos’è un’emozione? È una sensazione? O piuttosto è un giudizio? O piuttosto un qualia: uno stato mentale sui generis con contenuto sia rappresentazionale che fenomenico?
Le emozioni pervadono incessantemente la nostra esistenza.
In ogni periodo storico hanno dettato o influenzato stili di vita e atteggiamenti sociali.
Le emozioni sono state al centro della riflessione dei filosofi fin dall’antichità (con fortuna sempre alterna e posizioni che hanno oscillato continuamente tra la condanna e l’esaltazione).
Recentemente le scienze sociali hanno finalmente rivolto la propria attenzione alle diverse componenti della cultura emozionale (presenti nelle espressioni letterarie, nelle manifestazioni massmediali, nei credi religiosi, nelle legislazioni statali, nella dinamica dell’interazione sociale).
La medicina e la ricerca neurobiologica hanno finalmente iniziato ad affrontare la problematica conoscitiva delle emozioni in una chiave neuroscientifica sperimentale e non più solo metafisica/psicoanalitica.
Grazie allo studio delle emozioni si stanno rileggendo in una prospettiva nuova questioni di identità personali e sociali; vengono studiati gli effetti sociali di sentimenti come la rabbia, l’invidia o la collera, così come della fiducia e pro-socialità. Si cercano di analizzare, sotto la lente delle emozioni, le nuove paure dell’uomo digitale, le sindromi legate alle attuali condizione di isolamento, solitudine e alienazione; i cambiamenti valoriali in costrutti quali il senso di appartenenza comunitario, l’onore, il pudore, l’amore, la fedeltà; le riletture soggettive e sociali del gender; gli stati emotivi legati ai fenomeni emergenti nel mondo del lavoro, quali il mobbing o il burnout.
Intorno alle emozioni abbiamo edificato pregnanti e maestosi campi della epopea, della vita e della produzione intellettuale della nostra specie: basti pensare alle arti e ai movimenti culturali; per non parlare di fenomeni culturalmente determinati quali i concetti di salute e malattia!
La conoscenza delle proprie emozioni dovrebbe far parte dell’indispensabile cassetta degli attrezzi che ciascun essere umano dovrebbe costruirsi in dotazione (per affrontare al meglio la propria esistenza e per interagire proficuamente con gli altri), attraverso educazione, esperienza e saggezza, per imparare a riconoscere le emozioni stesse e magari anche per dominarle e dirigerle.
A rifletterci, in fin dei conti, sembra che noi esseri umani viviamo proprio d’emozioni, e che queste siano come una naturale moneta valoriale per la vita.
E sembra proprio che non siamo i soli esseri viventi ad esperire emozioni e stati affettivi connotati quantomeno di una coscienza nucleare e primitiva.

Le emozioni sono un potente motore, e una ricompensa piacevole o spiacevole delle nostre azioni; da quelle più semplici e banali della vita quotidiana di ciascuno di noi, a quelle più complicate, complesse e inesplicabili che determinano la nostra storia personale e di comunità umana.
Domanda:
sono davvero frequenti le volte in cui le nostre scelte, da esseri umani, sono intellettualmente e coscientemente rivolte ad evocare specifiche emozioni, passioni e stati d’animo o stati affettivi?
Ad esempio, mi chiedo: è così frequente che io decida – impegnando a fondo la mia ragione, il mio intelletto e la mia coscienza – quale programma TV guarderò stasera al fine di indirizzare i miei pensieri, il mio stato emotivo e affettivo e le mie conseguenti azioni?
Ancora, mi chiedo: stasera, per raggiungere i miei obiettivi razionalmente stabiliti, sarà meglio tifare per la squadra del cuore o per quella più forte?
E ancora: nella vita, voglio vincere facile o voglio giocarmela fino in fondo questa partita? E oggi – dico oggi in particolare, e non come mi piacerebbe in un oggi generico -, voglio vincere facile o voglio giocarmela davvero questa partita?
E tu, sì, proprio tu, nella tua vita, continuerai a corteggiare e amare tua moglie o la tua fidanzata, o cercherai una strada nuova in cui far confluire o defluire il tuo amore?
Per chi saremo disposti a dannarci l’anima? O non vogliamo piuttosto salvarcela in pace e serenità?
A chi vorremo salvare l’anima? O non vogliamo piuttosto dannargliela nella verità del fuoco che è la vita reale?
Chi di noi è davvero disposto a ricercare e affrontare quelle emozioni che spingono gli esseri umani a imprese che li mettono a confronto con i propri limiti o con quelli della propria specie o della vita stessa?
Invece che immolarsi nella fatica di Sisifo, non è piuttosto preferibile starsene nella propria comfort zone, sempre avvolti in una coperta di Linus, che sia il caldo plaid davanti al camino d’inverno o il comodo lettino sotto l’ombrellone al mare d’estate o il piacevole Aperispritz quotidiano?
Chi di noi vuole davvero scalare il Nanga Parbat senza curarsi delle preoccupazioni di Ingrid incinta? Chi affiderebbe la propria moglie incinta all’amico Horst? E chi trascorrerebbe sette anni in Tibet per l’amicizia del Dalai Lama, senza aver prima conosciuto il proprio figlio?
Per quale motivo, qualcuno di noi parte per circumnavigare continenti e esplorare oceani?
Perché, per alcuni esseri umani, la vita è degna di essere vissuta solo se affrontata come il Viaggio di Baudelaire?
E perché invece, per altri ragazzi, uomini e donne, il mondo non è grande alla luce della lampada e agli occhi del ricordo meschino ma piuttosto prende forma, colore e senso solo grazie al profumo di una madeleine che involontariamente richiama il passato – che subito ritorna ed emerge dalla ineluttabilità del tempo andato – come un ineffabile, soggettivo e intimo ricordo che riaffiora senza controllo cosciente e senza freni dell’intelletto?
Com’è che la coscienza,tramite l’intermediazione dei sensi, riesce a emozionarsi grazie a speranze, visioni del futuro o rigurgiti del passato?
Perché esiste una euforia cerebrale, una spiritualità degli eroi, dei mistici e dei santi che è solo di pochissimi eletti? Perché solo alcuni lottano contro una forza che li perseguita ovunque, e sempre si agita bruciante in loro come in tutti i geni, i santi, i mistici-eroi? Perché è solo di pochi quella luce non più terrena che gli uomini e le cose di quaggiù non hanno la capacità di accogliere e che quindi implacabilmente rifiutano?
Perché non tutti abbiamo quella capacità spirituale che è la capacità di soffrire in noi stessi, per noi stessi e per gli altri? Perché a taluni e non ad altri è data una eterna aspirazione che non potrà mai essere realizzata? Perché in molti desiderano non lasciarsi sradicare dalla propria meccanica e automatica acquiescenza, espressione prima di una vita solamente materiale?
E perché, invece, alcuni di noi non si adattano ad una forma tra le infinite possibili, e combattono contro gli uomini che ci vogliono informati nella ortodossia di un pensiero dogmatico per quanto solo apparentemente scientifico? Perché a taluni non riesce di rinunciare al proprio sentimento di libertà e a mettere la propria anima al servigio della imperante ortodossia? Perché ci sono stati uomini che hanno intrapreso una lotta senza via di scampo, senza soluzioni?
Risposta:
tutto ciò avviene grazie ai circuiti affettivi del nostro cervello; la corteccia cerebrale – vanto e gloria della nostra specie umana – e la sua espressione funzionale in termini di intelletto superiore, non c’entrano subito; piuttosto subentrano e servono dopo – un attimo dopo – per comprendere, indirizzare e correggere con consapevolezza la portata di quelle sensazioni, emozioni e affetti, che hanno messo sotto la lente della salienza e della sensatezza e necessità affettiva quell’attimo speciale (che per alcuni può anche non essere breve ma durare una intera vita!): è questo il fenomeno bottom-up del nostro circuito cerebrale!
Ma è vero anche il contrario: abbiamo anche un fenomeno cibernetico di tipo up-down grazie al quale la corteccia cerebrale (e alcuni suoi correlati funzionali: l’intelletto e la ragione), attraverso il suo strumento operativo che è la volontà (la determinazione fattiva e intenzionale di un essere vivente ad intraprendere azioni volte al raggiungimento di uno scopo preciso), condiziona il cervello affettivo e modula le emozioni!
Numerosi studi sperimentali hanno evidenziato come sia possibile suscitare forti reazioni emotive utilizzando la stimolazione elettrica localizzata (ESB) di specifiche aree cerebrali; ad esempio, con tale tecnica è possibile evocare affetti quali l’ansia da separazione, che comporta anche dolore psicologico e fantasie suicidarie.
Uno dei massimi esponenti di questo campo di ricerca, è stato il neuroscienziato Jaak Panksepp (1943-2017), che con i suoi studi ha identificato – nei mammiferi più primitivi, così come nell’essere umano -, sette principali neurocircuiti o sistemi neuronali delle emozioni e degli affetti primari.
Grazie a studi neuropsicologici centrati sugli effetti delle emozioni, Panksepp ha evidenziano come le emozioni primitive di base attivino regioni subcorticali (arcaiche) del cervello, a propria volta regolate dalle aree neocorticali con un complesso meccanismo circuitale bidirezionale.
Tali circuiti emotivi-affettivi sottocorticali sono comuni a tutte le specie mammifere esaminate.
Per esempio: l’attivazione elettrica del circuito della paura produce risposte emotive tipiche della paura in tutti i mammiferi studiati, sebbene appartenenti a specie diverse; la stimolazione del circuito accudimento produce un effetto placebo terapeutico e di acquietamento; la stimolazione del circuito della tristezza, interrompe le interazioni sociali positive e produce disperazione.
La conclusione di Panksepp è che – gli uomini così come gli altri mammiferi – esperiscono emozioni primarie con piacere o disagio; tra queste, alcune (come ad esempio la paura e la tristezza) si associano a sensazioni spiacevoli e suscitando comportamenti di evitamento; altre (come ad esempio il mating tra coppie di amanti, la cura della prole, e il gioco) vengono invece vissute positivamente e abilitano comportamenti di ricerca attiva di tali esperienze affettive.
Questi processi affettivi primari, incarnati in circuiti cerebrali primitivi, sono descritti da Panksepp come intimamente integrati in un sistema adattivo complesso regolato da processi secondari di apprendimento e memoria emotiva del sistema limbico, a propria volta modulato da processi terziari cognitivi delle aree neocorticali cerebrali superiori.
Ciascuno di questi neurocircuiti si associa ad uno specifico sistema di funzioni e comportamenti istintuali, emotivi e cognitivi; inoltre, ciascuno di essi è mediato selettivamente da specifici ormoni e neurotrasmettitori.
Le ricerche di Panksepp delineano un modello di funzionamento del cervello-mente incarnato e in relazione con l’ambiente, in cui le funzioni psico-neuro-somatiche superiori sono integrate con quelle inferiori per un funzionamento euristico performante di adattamento dell’individuo e delle specie.
In una visione sistematica che consideri lo stretto legame di correlazione tra fenotipo, genotipo, epigenetica, ambiente, stress, culture e stili di vita, la comprensione del ruolo e delle funzioni delle emozioni e degli affetti nel mondo umano e dell’ecosistema, e la loro valenza universale coniugata alla possibilità di modulazione attraverso l’apprendimento e le funzioni cerebrali superiori/corticali, potrebbe consentire il superamento di barriere culturali che dividono ciò che potrebbe essere unito e solidale, e potrebbe altresì contribuire al superamento di forme di resistenza al riconoscimento delle diversità inter-soggettive.
In tale prospettiva, può inoltre inserirsi anche un modo nuovo e più umano e performante di percepire ed esperienziare i vissuti di dolore e separazione ed i costrutti antropologici e socio-culturali di malattia e salute, in cui rivestono un ruolo fondamentale tanto gli affetti primari quanto quelli secondari e terziari, e ove la partita si gioca tanto a livello del self/sé quanto a livello delle interazioni con l’altro rappresentato dall’atteggiamento dei familiari, caregivers, dell’ambiente sociale, organizzazione politica.
L’argilla è necessaria per modellare un vaso. Ma il suo uso dipende dal vuoto interno che si riesce a creare (Laozi).

Beniamino Casale, responsabile IPAS Terapie Molecolari e Immunologiche in Oncologia – AO dei Colli – Ospedale Monaldi.