Un colpo di dadi

“Nonostante i secoli di riflessioni e i fiumi di inchiostro dedicati a descrivere la guerra, i suoi segreti restano ancora avvolti nel mistero.”

(Gen. George Patton)

La recente scomparsa, in età avanzata, di un amico, militare di professione e nello stesso tempo attento osservatore dei moti dell’animo e sensibile interprete dei sentimenti e dei mille rivoli della nostra tumultuosa coscienza di donne e uomini contemporanei, mi ha spinto a ragionare, tra me e me, con leggero disincanto, su un qualcosa che meriterebbe, di certo, altre e ben più argomentate considerazioni.

Questa persona a me cara mi ricordava il protagonista di un piccolo, affascinante libro di Jean Jacques Lagendorf, grande studioso del pensiero militare di Clausevitz, laddove, in un numero davvero esiguo di pagine, la voce narrante ripercorre i punti salienti della storia di un immaginario generale prussiano che assiste, durante tutto il corso della sua vita, al mutare veloce della natura delle guerre e si interroga, si pone domande, cerca risposte e spesso non le trova, proprio perché, forse, non esistono risposte da dare, in quanto la guerra è il luogo stesso dell’instabile, dell’irrazionale, un “colpo di dadi” nel vero senso della parola. Paradossalmente, rispetto ai luoghi comuni astrattamente pacifisti della vulgata dominante, nessuno più di un vero militare sa, infatti, che la guerra è il luogo geometrico per eccellenza in cui questa irrazionalità si esprime e nessuno più di un vero comandante, sa che occorre sempre cercare di evitarla e, parimenti, essere sempre pronto a reggerne l’urto ed a governare, nei limiti del possibile, quello che può accadere, la catena degli eventi. Eventi imprevedibili anche quando sembrano scontati e nei quali caso e necessità si confrontano ed entrano in dialettica con l’ambiente in cui, da sempre, si esprime la realtà del combattimento: un terreno fisico e metafisico inospitale, infetto, tossico, corrosivo e distruttivo, intriso di lacrime, sangue, paura.

Forse, per comprendere meglio la vera natura della guerra e della guerra contemporanea in particolar modo, occorre riflettere un attimo proprio su queste ultime crude considerazioni.

Cosa conosciamo davvero del fenomeno guerra? E come mai, anche se in tutti i modi si sia tentato di esorcizzarlo, esso si manifesta come una presenza ineliminabile della nostra storia, magari sotto forma di operazioni di polizia internazionale o di “peace keeping”, tanto per evitare che venga pronunciata questa parola – guerra – impronunciabile e non politicamente corretta?

Dobbiamo avere il coraggio di ammettere , come ha fatto in passato Von Clausevitz nei suoi studi, che la guerra è davvero la continuazione della politica con altri mezzi e dunque, nonostante il fenomeno sia da sempre esorcizzato dialetticamente e demonizzato in tutte le sue declinazioni, l’umanità non ha mai cessato, purtroppo, di nutrire una sorta di amore-odio nei confronti della guerra, un amore mai confessato apertamente, ma pur sempre presente, nonostante tutti gli orpelli e le precauzioni e le ipocrisie adottate per non farlo risultare tale. Perché, come scriveva lapidariamente il grande giurista tedesco Carl Schmitt, l’essenza della politica altro non è che “la contrapposizione amico-nemico”. 

La guerra è, purtroppo, uno dei motori della Storia, anche se fortunatamente, non è l’unico. E poiché è un motore estremamente dispendioso e costoso, oggi si tende ad usarlo con maggiore parsimonia rispetto al passato, magari sotto forme traslate e mascherate: guerra economica, guerra mediatica, guerra psicologica, guerra culturale, guerra asimmetrica, conflitti locali. Aspetti che non intaccano, però, la sua natura ed il suo ruolo nella società contemporanea.

Ed infatti, le guerre del futuro saranno essenzialmente conflitti con caratteri assai diversi dalle guerre tradizionali e molti di questi conflitti sono già in corso. E non parliamo soltanto delle centinaia di scontri locali e delle guerre asimmetriche che devastano le più disparate regioni del mondo, ma anche delle forme più sottili e subliminali di conflitto  che abbiamo già citato e che mietono moltissime vittime, anche se meno delle guerre tradizionali. E dunque proprio per questo, in un modo o nell’altro, le si accetta più facilmente. Forse perché spesso neppure le si percepisce per quello che sono e neppure si comprende la loro pericolosità, anche se, dalla sera alla mattina, oppure dopo un più lungo processo di gestazione, possono improvvisamente mutare e trasformarsi in qualcosa di diverso e di ben più terribile: in quella guerra nell’accezione più cruda e brutale del termine che è insita nelle leggi estreme della “politica”, come appunto Von Clausevitz aveva ben argomentato nella sua opera.

A noi, dunque, non resta che un’amara riflessione sulle ragioni del passaggio, nella storia del genere umano, dalla guerra rituale a “quell’antica festa crudele” di medioevale memoria, e da qui a quel conflitto totale, assoluto, sconvolgente, iniziato con la Rivoluzione francese, la nascita delle armate rivoluzionarie di popolo e la leva obbligatoria e mai più conclusosi. Un conflitto anche culturale tra i proclami di Ordine, Ragione, Trasparenza, lanciati dall’Illuminismo e le manifestazioni cruente di Caos, Oscurità e Azzardo che la Storia ha iniziato a generare negli anni rivoluzionari della cosiddetta “nazionalizzazione delle masse”, in una replica costante che non si è mai più interrotta..

A tutto ciò,  non c’è, ad oggi, rimedio che tenga  e la storia dell’Umanità è, purtroppo, impastata ed intrisa anche di questo, come ben sappiamo.  Forse un giorno, come auspicava Giordano Bruno, “ l’Uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente ed a chi ha ceduto le redini della sua esistenza” o forse questo è destinato ad essere soltanto l’auspicio di un grande del Pensiero e  l’umanità continuerà  imperterrita per la sua strada, perché lo scatenarsi dell’irrazionale sarà diventato parte davvero ineliminabile della sua vera natura e noi, quindi, continueremo a non sapere mai cosa ci attende dietro la curva, alla fine del sentiero, fino a quando, in un modo o nell’altro, non vi saremo arrivati.

Michele Chiodi, già dirigente di istituti finanziari, collabora con periodici e associazioni culturali

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