Del celebre film del 1991 diretto da Randa Haines ho preso in prestito solo il titolo. Sì, perché la storia di Domenico Mimmo Casale ha poco a che vedere con quella di Jack MacKee, un noto e freddo chirurgo interpretato da uno strepitoso William Hurt, tranne che per la professione. Lui cinico e venale chirurgo di successo, tu cardiochirurgo ricco di tanta umanità. E se nel film è la malattia a far cambiare il modo di vivere di Jack, di pensare e di trattare i pazienti, nel tuo caso la malattia non ha modificato il tuo essere una persona semplice, dolce, che non ama sparlare o parlare inutilmente e che ha un dono che manca a tanti di noi, la capacità di saper ascoltare e sentire gli altri.
Garbato, colto, profondo. E chi più ne ha più ne metta… la mia amicizia con Mimmo nacque così, per caso. Benny mi invitò a partecipare a un incontro sulla comunicazione in sanità presso l’aula consiliare del Comune di Sessa Aurunca, in provincia di Caserta. Appuntamento dai Casale, per andare in auto insieme. Benny ci presenta e mi fa sedere avanti, accanto a Mimmo alla guida per condurci all’evento. Cominciamo a parlare e, come poche volte capita, scopriamo durante il viaggio di avere tante affinità.
La storia delle religioni, esoterismo e riti pagani, antropologia e mitologia. Resto colpito dalla sua cultura enciclopedica sugli argomenti di comune interesse e scambiamo aneddoti e citazioni. Proviamo a svelare e interpretare – o quantomeno a interrogarci – su misteri, accadimenti spiegati ai più in modo razionale che non ci convincono, difficilmente credibili per noi.
Ma c’è di più, molto di più. L’amore per la natura e la coltivazione delle piante, degli alberi da frutto, agrumi in particolare. Come gli aranci e mandarini nel loro e mio giardino di casa. Il marrone del tronco e dei rami, il verde delle foglie, il giallo o arancio dei frutti, il bianco dei fiori. Agroterapia, la definisco, un ritorno alle origini di quando, ad abitare il pianeta, gli uomini erano cacciatori, pescatori, agricoltori e poi allevatori. Lo sviluppo della civiltà ci ha gradualmente allontanato da qualcosa che è presente da millenni nel nostro DNA trasformandoci sempre più in cyborgs, organismi cibernetici al punto che oggi, nell’era digitale, sembra impossibile fare a meno di tante tecnologie e App, dimenticando che nel nostro albero genealogico siamo contadini, o almeno i nostri avi lo erano.
Mimmo condivideva il mio pensiero, il mio sentire. Molte volte, recandomi da Benny, lo incontravo in giardino a potare o raccogliere arance e mandarini. Perché era solo lui, nonostante i figli maschi, a occuparsi del giardino e delle piante. Concordavamo sul fatto che lavorare la terra fosse una terapia molto efficace per il corpo e per la mente. Vedere le piantine crescere, germogliare, fiorire, prendersi cura di loro e delle loro malattie, raccogliere i prodotti che generano e che ci alimentano infonde in noi benessere, perché le piante comunicano con noi, soffrono e gioiscono, ma senza rumore. E senza rumore Mimmo comunicava con gli altri. Mai una critica, una parola fuori posto: poche frasi e molti silenzi che trasmettevano pensieri profondi.
Medico empatico, marito e padre esemplare, scrittore e poeta, contadino. Sono solo poche parole che mi vengono in mente per descrivere Mimmo. Volevo organizzare la presentazione di un suo libro ma non era d’accordo. Lui non amava farsi pubblicità, vendere copie. Chi sa di essere, non ha bisogno di apparire. Con umiltà ci regalava tanta cultura nelle sue opere letterarie, negli articoli scritti per Il Bugiardino. Arricchiva la nostra conoscenza, stimolava le nostre sinapsi assopite.
Ai workshop organizzati da Benny era sempre presente, ad ascoltare. Più volte mi sono chiesto cosa pensasse della mia moderazione irriverente, del mio scherzare con tanti illustri medici dando a tutti del tu, del trattarli come persone, invitandoli a esporre complessi argomenti scientifici con semplicità, per consentire anche ai pazienti, caregivers e operatori sanitari di comprendere il pensiero di chi sta dall’altra parte della scrivania. Chissà. Ascoltava in silenzio e non giudicava. Come nella foto di questo breve articolo, scattata da Alessandro, il nostro webmaster, videomaker e fotografo durante l’ultimo workshop in presenza, prima della pandemia. Uno scatto che racconta tanto di lui, del suo essere, più eloquente delle parole che scrivo in questo pezzo.
L’ultima volta che ci siamo visti è stato per caso. Ero andato al Monaldi per incontrare Benny, che mi disse che il padre era lì per un’infusione. Nello stesso ospedale in cui Mimmo ha esercitato la professione per tanti anni, lo ritrovo come paziente nel DH. Vado a salutarlo accanto alla poltrona ove sedeva con la flebo attaccata. Mi prende la mano e la tiene stretta mentre parliamo, per tutto il tempo.
Mi fa capire che era stanco di lottare. Con la sua pacatezza, garbo, con poche parole mi regala un altro profondo insegnamento: dobbiamo accettare il nostro destino, quale che sia, durante il breve viaggio nella nostra vita terrena. Mimmo lo ha fatto, ha staccato la spina nonostante l’amore e le cure di cinque figli medici, di tanti colleghi e della famiglia. Se ne è andato in punta di piedi, in quel silenzio che lo caratterizzava. Il suo corpo ci ha lasciato ma la sua anima vive ed è accanto a noi che abbiamo avuto la fortuna e l’onore di conoscerlo, stimarlo e amarlo.
So che ogni volta che andrò a casa di Benny, parcheggiando lo scooter in giardino lo sentirò. Nei colori degli agrumi, delle piante, nel profumo dei fiori. Lo vedrò sulla scala intento a potare, cimare, curare la vegetazione, innaffiare, tagliare i rami secchi. E so che le nostre anime si incontreranno ancora. Andrò a trovarlo nel giardino dell’Eden, ove sicuramente sarà.
La morte non è niente
La morte non è niente.
Sono solo passato dall’altra parte:
è come fossi nascosto nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu.
Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora.
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare,
parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne e triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano
quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami.
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:
pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:
è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza.
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.
Rassicurati, va tutto bene.
Ritroverai il mio cuore,
ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami:
il tuo sorriso è la mia pace.
Henry Scott Holland

Carlo Negri, esperto di marketing farmaceutico e comunicazione in Sanità.