Una vita per la Patria

“La ragione si fa adulta e vecchia;

il cuore resta sempre ragazzo”

                          ( Ippolito Nievo)

Sarebbe bello se lo si studiasse di più e meglio. Ma ai giovani d’oggi risulta personaggio quasi sconosciuto, raramente oggetto di approfondimento scolastico.

Eppure, il frutto più maturo della corrente letteraria risorgimentale ed insieme l’opera più valida e fervida di novità della narrativa legata alle vicende del burrascoso ed intenso periodo della nascita della nostra Nazione , è sicuramente il romanzo “Le confessioni d’un Italiano”, di Ippolito Nievo.

Lo scrittore padovano si eleva sugli autori a lui contemporanei per la sua grande personalità di uomo, per il suo eroismo silenzioso, per la totale assenza di posa e di enfasi, per la serietà morale, per la profondità, la concretezza, la larghezza della sua fede mazziniana e “nazionale”, per la sua sensibilità alle questioni sociali, per la chiarezza di concetti, per la consapevolezza del valore della vita, per l’amore ed il coraggio con cui visse, per la coerenza tra il pensiero e l’azione e, in ultimo, per la salda e forte unità dell’uomo con il letterato ed il conseguente impegno, tipicamente “romantico”, a realizzare una letteratura veramente educativa e popolare.

Del resto, tutta la vita di Ippolito Nievo, breve, ma intensissima, parla di lui e ce lo racconta per quello che è stato: un poeta-soldato, un idealista romantico, di quelli che lasciano il segno indipendentemente dalle epoche storiche in cui sono vissuti. E la sua opera letteraria è diventata , proprio per questo, tutt’uno con la sua vita di giovane volontario garibaldino, ufficiale con la “u” maiuscola nonostante la giovanissima età, il cui impegno in guerra si fonde con la sua produzione letteraria, per offrire, a coloro che desiderano conoscerlo meglio, il ritratto di una personalità ricca ed esemplare.

Parlare della sua vita, così densa di fatti, richiederebbe più spazio e più tempo e , per questo, mi limiterò soltanto ad attraversarla velocemente, seguendo il filo rosso delle mie impressioni, come in una cavalcata libera attraverso pianure sconfinate e sentieri aspri e selvaggi, per descriverne solo l’essenziale ed il messaggio, o meglio il lascito morale, che certamente non è retorico ed enfatico, ma semplice e paradigmatico come solo il pensiero che si trasforma in azione può esserlo.

Nato nel 1831 a Padova, a soli 17 anni  Ippolito rimase folgorato dalla personalità e dai programmi di Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo ed iniziò il suo impegno clandestino di fervente repubblicano tra Mantova e Cremona, dove aveva seguito la famiglia, e poi in Toscana, a Firenze ed a Pisa, dove era andato a vivere per volontà dei suoi genitori, preoccupati per la sua incolumità e per i rischi ai quali era esposto: sono gli anni a cavallo del ’48, gli anni dei moti insurrezionali. Poi Ippolito torna a Mantova ed a Cremona dove consegue la licenza liceale e, successivamente, si iscrive all’università di Padova, appena riaperta dagli austriaci dopo i moti studenteschi di matrice mazziniana. Dopo la laurea inizia a dedicarsi all’attività di giornalista e di scrittore, cosa che gli procura segnalazioni di polizia e denunce ed un processo per vilipendio delle forze d’occupazione austriache che si tenne a Milano, città dove forti erano gli ambienti e le tendenze letterarie vicine tanto alla sua sensibilità artistica , quanto a quella di giovane patriota, politicamente impegnato.

E mentre si dedicava alla prima stesura del suo bellissimo romanzo dal titolo emblematico  –  Le confessioni d’un Italiano – maturarono gli eventi che portarono ai fatti del ’59 e del ’60, gli anni cruciali del nostro Risorgimento. Ed allora lo scrittore, il poeta ed il cospiratore diventarono tutt’uno con il soldato ed Ippolito vestì quella divisa rossa di ufficiale garibaldino che da allora lo accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni.

Allo scoppio della seconda guerra d’Indipendenza,  Nievo si arruola volontario nel corpo dei Cacciatori delle Alpi, la mitica unità guidata da Giuseppe Garibaldi. Fu un bravo ufficiale ed un comandante molto amato ed ammirato dai suoi uomini e dallo stesso Generale, tanto che il 5 maggio del 1860 si unì alla spedizione dei Mille, avanguardia dei circa ventimila combattenti , militari di professione e volontari civili,  che dal Nord sbarcarono in Sicilia agli ordini di Garibaldi.

La guerra nel Sud dell’Italia entrava nella sua fase cruciale.

Nievo conseguì sul campo di battaglia il grado di colonnello, ampiamente meritato per le sue doti militari, ma soprattutto umane, davvero fuori dal comune ed ebbe l’incarico prima di Vice Intendente generale della Spedizione e poi quello di Vice Intendente  generale dell’Esercito Meridionale, cioè delle Divisioni e dei Reggimenti garibaldini operanti  in Sicilia. Incarichi amministrativi delicatissimi, trattandosi della responsabilità della gestione e dell’ assegnazione delle risorse finanziarie da utilizzare per le necessità delle forze armate garibaldine e per le attività legate alla nuova amministrazione del territorio siciliano. Egli era la persona giusta per quest’incarico, vista la sua grande onestà e lo scrupolo con cui era solito svolgere i compiti assegnatigli dai suoi superiori.

Ma intorno alla sua metodica e correttissima gestione delle ingenti disponibilità economiche affidate al suo controllo, iniziò subito a muoversi un magmatico coacervo di interessi personali e politici dai contorni a volte poco chiari, contro i quali egli dovette scontrarsi più volte, anche decisamente, acquisendo la fama, presso certi ambienti militari e politici certamente non sempre animati da nobilissimi ideali, di incredibile piantagrane, di persona non “malleabile”,  con la quale era impossibile venire a compromessi. Cosa ci fosse di sostanzialmente vero intorno alla portata effettiva ed alla gravità di queste manovre poco trasparenti e cosa fosse invece alimentato ad arte da personaggi di primo piano del governo piemontese guidato da Cavour, interessati ad alimentare sospetti sull’amministrazione locale facente capo a Garibaldi e sulle forze armate garibaldine  che erano in buona parte di orientamento repubblicano e quindi non facilmente controllabili dal governo di Torino, non è dato sapere in termini precisi e storicamente documentati. Certo è che nei primi mesi del 1861 il giovane colonnello Nievo incominciò ad avvertire quasi una triste premonizione e le sue condizioni di salute peggiorarono per lo stress, la tensione e le pressioni che avvertiva intorno a sé ed alla sua corretta amministrazione dell’Intendenza militare. Una storia tipicamente italiana, potremmo dire oggi, resa ancora più pesante ed irreale proprio perché avveniva all’alba della nuova Italia, su quel “limes” in cui gli ideali forti e nuovi e gli entusiasmi dei combattenti andavano a confliggere con mentalità ataviche caratterizzate dal gusto e dalla prassi dell’intrigo, della malafede, della cattiveria e dell’interesse personale.

Ed arriviamo così all’epilogo, triste e drammatico.

Il colonnello Ippolito Nievo riceve l’ordine di portare dalla Sicilia a Torino i documenti e la contabilità delle spese sostenute nell’ambito delle attività del governo provvisorio garibaldino. Si imbarca a Palermo nella notte tra il 5 ed il 6 marzo 1861 sul piroscafo “Ercole”, con altri due ufficiali suoi colleghi ed alcuni militari, portando con sè le casse contenenti i documenti contabili richiesti per la verifica ispettiva.

Durante la navigazione da Palermo a Napoli, la nave scompare, si inabissa improvvisamente, forse al largo di Capri. Non ci fu alcun superstite e nessun relitto fu mai restituito dal mare. Quella notte le condizioni atmosferiche erano eccellenti ed il mare era piatto come una tavola. La notizia raggiunse ufficialmente Torino addirittura due settimane dopo il fatto: un lasso di tempo inconcepibile anche per quei tempi.

All’età di soli trent’anni il colonnello Ippolito Nievo non fece ritorno dalla sua ultima missione. I documenti che trasportava scomparvero con la nave, i passeggeri e l’equipaggio. L’inchiesta sull’accaduto, superficiale e lacunosa, fu frettolosamente archiviata con un nulla di fatto. E non se ne parlò più.

A noi resta il ricordo dello scrittore, del poeta e del soldato generoso e tenace, animato sino all’ultimo da ideali oggi purtroppo desueti.

Un esempio di vita consumatasi alla velocità di una meteora nel cielo, all’alba di un’era che, nell’intenzione dei protagonisti più sinceri, avrebbe potuto essere davvero nuova e feconda. Era quello che Ippolito Nievo voleva. E forse è morto proprio perché “ci credeva”, ci credeva davvero…

“E tu ti svegliasti col sol d’aprile

E dimostravi che non sei vile.

Per questo, appunto, mi sei più cara.

Camicia rossa, camicia rara….”

(da “Camicia Rossa” – canto garibaldino – 1861)

Michele Chiodi, già dirigente di istituti finanziari, collabora con periodici e associazioni culturali

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