Versi e musica per una storia italiana
Comme a nu suonno de marenaro,
tu duorme, Napule, viata a te!..
Duorme ma, ‘nzuonno lacreme amare
tu chiagne, Napule!..Scètate, sce’!..
Come un sogno di marinaio
tu dormi, Napoli, beata te!…
Dormi ma, in sogno, lacrime amare
tu piangi, Napoli, svegliati, sve’!
“ Luna nova” è una delle più belle e coinvolgenti canzoni napoletane. La musica è di Mario Costa, le parole di Salvatore di Giacomo : un bel sodalizio artistico.
È una dolce barcarola notturna, nella quale il canto di una voce si alterna a quello di un coro che nasce dal profondo dell’anima e che, in termini accorati e quasi esortativi, si rivolge, nel finale, alla Città, esortando Napoli al suo riscatto sociale, al suo risveglio dal sonno in cui è avvolta.
In passato, Riccardo Muti, nel corso di un concerto tra i templi di Paestum, folgorato dalla visione di una luna bellissima tra quelle maestose rovine, ha interrotto per un attimo la musica, per recitare questi versi stupendi del nostro amatissimo Salvatore Di Giacomo che, corroborati dal talento indiscutibile del tarantino Mario Costa, sono diventati patrimonio di tutti gli amanti del magico repertorio musicale napoletano.
La canzone entrò a buon diritto nel repertorio di tutti i più famosi cantanti internazionali di quell’epoca e degli anni a seguire e sul suo successo davvero mondiale si è detto e scritto tanto che sarebbe davvero inutile cercare di aggiungere qualcosa di interessante e di nuovo.
Luna nova piacque a Wagner, al Kaiser Guglielmo, a tanti grandi della terra ed a tanta, tantissima gente comune di ogni paese, a tutti quelli, insomma, che ebbero la fortuna di ascoltarne la melodia ed ai fortunatissimi che ebbero l’ancor più grande fortuna di comprenderne le parole o di leggerne la traduzione nella lingua della proprio nazione.
Piacque tanto anche a colui che, al secolo, fu Gioacchino Pecci, ma che il mondo conosce con il nome di Leone XIII, il grande pontefice promulgatore di quell’enciclica, la Rerum Novarum che è il primo grande tassello di quella “dottrina sociale” della Chiesa destinata a permeare di sé, in tutte le sue successive declinazioni, la storia del cattolicesimo e delle idee politiche e sociali che attraversarono poi il novecento, il “ secolo breve”, per giungere sino a noi.
Ebbene, al grande Leone XIII la canzone piaceva non soltanto per la melodia e le parole, ma anche per il contenuto sociale che quel lirico richiamo finale al risveglio della Città dormiente evocava in termini poetici sì, soffusi di velata malinconia sì, ma sicuramente chiari e non equivocabili.
E si racconta che spesso, la sera, il Pontefice invitasse il cardinale Gustav Adolf von Hohenlohe, raffinato amante della musica, a suonare per lui, al pianoforte, la “luna nova” di Di Giacomo e Costa, con i suoi richiami al simbolico risveglio del marinaio addormentato…..forse quel popolo di Napoli che spesso dorme sulle sue miserie e sui torti subiti, ma che ha in sè la capacità grande di riprendersi la propria vita, di uscire dal letargo, di re-agire, come esortano appunto i versi in dialetto che abbiamo citato all’inizio di questa nostra piccola riflessione.
La canzone fu presentata al pubblico nel 1887, quando il sodalizio artistico tra Di Giacomo e Costa era oramai conosciuto ed apprezzato a Napoli, in Italia ed anche all’estero e gli spettacoli con le loro canzoni riempivano i teatri ed erano il sogno di tutti i più importanti impresari.

La prima interpretazione si tenne al teatro La Fenice, durante una sorta di commedia musicale nel corso della quale furono presentate molte canzoni di vari autori che in buona parte non ebbero il gradimento del pubblico. Ma quando fu la volta di “luna nova” il pubblico impazzì davvero, tutti si alzarono in piedi ed applaudirono per parecchi minuti. Lo spettacolo fu salvo ed il brano entrò nell’olimpo dei successi canori, divenne una ”hit” di quegli anni, si direbbe oggi, insieme ad un altro grande e contemporaneo successo canoro di quel particolare anno che fu il 1887 per Napoli e per l’Italia tutta: “ A retirata”, anche questo partorito dal binomio artistico del momento.
Qui è protagonista il soldato che saluta la sua amata perché le note della “ritirata” lo stanno richiamando in caserma e lui dovrà partire per compiere il proprio dovere verso la Patria. Un brano meno profondo di “luna nova”, ma dal grandissimo impatto emotivo perché composto a cavallo di quella che è passata alla storia d’Italia come la sconfitta di Dogali, la battaglia in cui una colonna di seicento militari italiani fu attaccata e massacrata, dopo una tenace resistenza, da più di diecimila guerrieri abissini guidati da Ras Alula, nel corso delle operazioni militari in Eritrea. La musica delle canzone venne eseguita dalla fanfara dei bersaglieri in Piazza Plebiscito e da allora i soldati italiani che partivano dal porto di Napoli per le campagne africane furono sempre accompagnati all’imbarco da quelle note, presto entrate nell’immaginario collettivo di una Napoli e di un’Italia alla difficile ricerca della loro piena identità post unitaria, in quello scorcio del secolo diciannovesimo sul quale già calava il sipario.
E “A retirata” accompagnò addirittura nel secolo successivo, con le sue note, i volontari della campagna d’Etiopia del 1935 e tanti altri combattenti ancora. Potenza di una semplice canzone, in un Paese che si sforzava di uscire dall’arretratezza che pesava come un macigno ed una condanna a vita e di intraprendere, in un modo o nell’altro, a qualunque costo, il sentiero confuso ed incerto di una improcrastinabile modernizzazione.
“Luna nova” e “A retirata”, Salvatore Di Giacomo e Mario Costa, per capire un po’ di più di quella italietta che cercava a fatica di diventare Italia e di quella Napoli, grande caldèra di sofferenze, di miserie e di dolore che procedeva affannosamente per tentativi, spesso inutili e spesso diventati ancora una volta fallimenti, verso il miraggio di un riscatto improbabile ed in verità più simile al castello fantastico della fata Morgana.

Michele Chiodi, già dirigente di istituti finanziari, collabora con periodici e associazioni culturali.