Il giovane Vesuvio, come racconta Matilde Serao nella “Leggenda di Napoli”, era di carattere collerico, impetuoso e follemente innamorato di Capri, una fanciulla che ricambiava il suo sentimento pur essendo le rispettive famiglie in lite fra di loro.
Per impedire che la relazione fra gli innamorati continuasse, i genitori della ragazza la imbarcarono su un battello per allontanarla da Napoli ma la fanciulla, non potendo resistere al dolore della separazione dall’amato, appena fuori dal porto si gettò in mare e annegò: dall’acqua nacque un’isola azzurra e verdeggiante.
Vesuvio era violento, focoso e sentì montar in sé una tale rabbia quando seppe della morte della sua adorata Capri che iniziò ad emettere caldi sospiri piangendo lacrime ardenti, divorato da un fuoco interno e tanto si gonfiò che diventò grande come una montagna. Capri è di fronte a lui, bellissima, laggiù in fondo al golfo, la vede ma non la può abbracciare ed allora si strugge di passione e lancia infuriato dalle sue viscere massi infuocati e fiamme, disperato per aver perduto la sua amata.
Da un’altra leggenda si capisce che a Vesuvio le donne piacevano assai: questo gigante, figlio di Vulcano, era infatti innamorato di una Ninfa, Leucopetra, figlia del Dio Nettuno, che era amata anche da Sebeto, figlio della Sirena Partenope, insomma era una questione interna all’Olimpo e l’idillio si svolgeva davanti al golfo di Napoli. Leucopetra era corteggiata, ma non si decideva a scegliere fra i due i quali, per porre fine alla questione, decisero che chi la acchiappava per primo la faceva sua. La Ninfa si sentì un oggetto e non una donna per cui scappa sulla spiaggia inseguita dai due innamorati, ma mentre questi stavano per raggiungerla Leucopetra invoca l’aiuto del padre: Nettuno la soccorre e la trasforma nel più bel faraglione di Capri, quello di pietra bianca, infatti in lingua greca Leucopetra significa Pietra bianca.
Tanto per cambiare Vesuvio si infuria e giura che farà capire agli uomini cosa vuol dire soffrire e provare dolore e quindi li colpirà con la sua violenza; invece Sebeto si ritira verso le falde del Vesuvio e piange tanto che diventa un fiume e promette di proteggere Napoli e i suoi abitanti.
Sebeto è un fiume cantato da poeti romani come Virgilio e Stazio, ma che fine abbia fatto non si sa: terremoti, eruzioni, costruzioni secolari lo hanno sepolto e probabilmente è interrato nella zona attorno al Centro direzionale, un fiume che Napoli ricorda con la fontana, opera del Fanzago, collocata a Mergellina.
Nell’affresco ritrovato a Pompei nella Casa del Centenario, il Vesuvio fa da sfondo alla figura del Dio Bacco in piedi alle falde della verde montagna coperta da filari di viti. Il Vesuvio ha una sola cima, è tranquillo, lussureggiante ed è alto quasi 2000 metri: nessuno, pur avendone qualche studioso individuato la natura vulcanica, sapeva che la montagna fosse un vulcano attivo.

Il Vesuvio ha avuto un ruolo molto importante nella Storia di Roma, infatti il gladiatore Spartaco, fuggito da Capua con un piccolo gruppo di altri gladiatori, si nascose fra i suoi boschi, ricchi di animali e di frutti, dando inizio alla rivolta contro Roma.
Spartaco quando arrivò davanti alla montagna decise di salirvi in modo da avere una posizione dominante dall’alto per sorvegliare le truppe romane mandate a soffocare quella ribellione che per ora non preoccupava Roma data la debolezza degli schiavi, pochi di numero e con poche armi. C’era una sola strada stretta per salire sul monte e i soldati la presidiarono in modo che Spartaco non potesse più tornare indietro e fuggire, infatti gli altri lati della montagna erano pieni di precipizi e non esistevano vie di fuga: lo prenderanno per fame!
Ed invece Spartaco taglia i tralci delle viti che sono sul Vesuvio, li intreccia e ne fa delle robuste e grandi scale penzolanti per scendere quei dirupi ritenuti impraticabili appoggiandosi sulle rocce sottostanti fino a toccare terra: silenziosamente prende i Romani alle spalle, li massacra e si impossessa delle armi. Dopo questo successo contadini, pastori, schiavi, emarginati vanno ad ingrossare le fila dei suoi uomini: diventeranno migliaia ed avrà inizio la Terza Guerra Servile che si estenderà in tutta Italia e che Roma vincerà dopo due anni.
Questo meraviglioso angolo del mondo, dove Vesuvio domina, si dice che fosse un pezzo di Paradiso rubato dal diavolo per formare il golfo di Napoli: Gesù pianse per il dispiacere, ma le sue lacrime irrorando quel terreno vulcanico dettero vita ad un delizioso vitigno, il “Lacryma Christi” .
Nel 79 d.c. questo Paradiso diventò l’Inferno: il Vesuvio esplose.
Il nome Vesuvio deriva dalla parola Ves ovvero fuoco, la stessa radice della parola Vestali, le sacerdotesse che dovevano vegliare a Roma il fuoco sacro della dea Vesta, protettrice del focolare domestico.
La descrizione della catastrofe ci è pervenuta grazie alle due lettere di Plinio il giovane (che si trovava a Miseno presso lo zio Plinio il Vecchio, grande scienziato ed Ammiraglio della flotta romana), inviate allo storico Tacito che gli chiedeva notizie sulla terribile eruzione.
Si è sempre considerato, alla luce delle lettere di Plinio pervenute a noi grazie all’opera degli Amanuensi medievali, che l’eruzione sia avvenuta il 24 agosto del 79 d.c., ma esiste anche un’altra interpretazione secondo la quale la data è diversa probabilmente per un errore di trascrizione dei copisti.
Molti elementi infatti portano a credere che l’eruzione sia avvenuta nel mese di ottobre, in quanto sono stati trovati nelle suppellettili e nei cibi testimonianze dell’autunno: i bracieri attivi, l’uva passa, i fichi secchi, le castagne, le melagrane, corpi con abiti non estivi ed altro, che sono la spia di una stagione tiepida. Un altro indizio lo rileviamo dalla prima lettera di Plinio il Giovane, il quale racconta che lo zio ordina di mettere le navi in mare per portare aiuto alle popolazioni: secondo le regole marinare dell’epoca le navi venivano messe al sicuro nei porti prima dell’equinozio di settembre e fino agli inizi di marzo, in attesa che passassero le stagioni in cui era pericoloso navigare per le condizioni climatiche. Probabilmente l’eruzione avvenne fra il 24 ottobre ed il 1° novembre.
Dopo secoli la Montagna si era risvegliata e fece conoscere al mondo la sua forza distruttrice: lapilli, cenere, lava, gas e per tre giorni fu l’Apocalisse.
“Già altrove faceva giorno, ma là era notte, più scuro e fitta di ogni altra notte; ancor che molte bocche di fuoco e varie luci la rischiaravano”, così racconta Plinio il Giovane.
La luce non c’era più, il sole sparito, un pino di ceneri si alzò per chilometri verso il cielo, scintille elettromagnetiche simili a fulmini tagliavano la cappa nuvolosa, torrenti di lava travolgevano le case e le fiamme di conetti eruttivi illuminavano la Montagna: scomparvero Pompei, Ercolano ed altri paesi vesuviani sepolti da decine di metri di materiale vulcanico e il Vesuvio si spaccò in due, collassando su se stesso. Su un muro di una casa pompeiana è stato trovato un graffito, probabilmente scritto da un Ebreo: “Sodoma e Gomorra ”, era la punizione divina che colpiva i peccatori! Dopo l’eruzione Roma si rese conto che ormai le città sepolte erano veramente città morte e non intervenne per restituirle alla vita: furono dimenticate e dovettero passare decine di secoli fino a che nel 1700 Pompei ed Ercolano furono riscoperte e restituite al mondo, testimonianza di città in cui il tempo si era fermato.
Goethe che visitò gli scavi di Pompei disse: “Di tutte le catastrofi che si sono abbattute sul mondo, nessuna ha procurato tanta gioia alle generazioni seguenti”.
Dopo decine di secoli di relativa calma, quella Montagna dalla quale uscivano fumarole, si manifestò più di 1500 anni dopo nuovamente in tutta la sua violenza distruttrice. Il Vulcano non aveva dato segnali della sua potenza devastatrice, era un monte verdeggiante, dove abitavano i pastori, ma in quel dicembre del 1631 si scoprì che il Vesuvio portava morte e terrore e si ripetette la catastrofe del 79 d.c., anche se in maniera poco meno sconvolgente: i Santi furono portati in processione fino a ponte della Maddalena per fermare l’eruzione, il Sangue di San Gennaro esposto alla venerazione del popolo, che assisteva atterrito a questo fenomeno sconosciuto. L’eruzione decapitò il Vesuvio, facendo scomparire il cono slanciato, uccise oltre 4000 persone, distrusse paesi e Napoli fu coperta da 30 cm. di cenere. L’impressione fu tale che il Viceré di Napoli fece apporre sulla facciata di un palazzo di Portici una grande lapide il cui testo descrive l’evoluzione del fenomeno eruttivo “….prima o poi prende fuoco….scuote il suolo, fuma, s’arrossa, avvampa, scuote l’aria, emette boati, tuona, muggisce, caccia gli abitanti dalle zone vicine. Fuggi, finché ne hai tempo; ecco già lampeggia, scoppia, vomita materia liquida mista a fuoco che si riversa precipitosamente tagliando la via di fuga a chi si è attardato. Se ti raggiunge sei morto…… Se hai senno ascolta la voce di questa pietra, non preoccuparti del focolare, non preoccuparti dei fagotti, fuggi senza indugio. Anno 1632 sotto il regno di Filippo V Emanuele Fonseca y Zuniga conte di Monterey, Vicerè”.
“Fuitevenne”, insomma, e questa raccomandazione può essere considerato il primo esempio di Protezione Civile della storia!
La terribile catastrofe portò una nuova attenzione verso il Vesuvio ed anche la visione paesaggistica di Napoli, che aveva guardato sempre verso Posillipo, si girò dall’altra parte ed il Vesuvio diventò il nuovo panorama della città partenopea.

Il Vulcano nel ‘700 trovò nell’Ambasciatore inglese Lord Hamilton, collezionista, archeologo, studioso (marito della famigerata Lady Hamilton), il suo più grande appassionato, talmente innamorato del Vesuvio che la scrittrice Susan Sontag lo ha reso protagonista del suo bellissimo libro “L’Amante del vulcano”.
Il Vesuvio diventò un’attrazione per tutti i viaggiatori del Grand Tour che venivano in Italia per conoscere l’arte, la cultura, i paesaggi e attorno al Vulcano nacque una specie di turismo che prevedeva l’ascensione al cratere. L’emozione che vivevano gli avventurosi era grande: partivano di sera dai paesi ai piedi del Monte a dorso di mulo, a cavallo e, per le signore , era disponibile la portantina, fino alla base del cono da cui partivano seguendo la guida che li teneva legati con una cinghia, come si fa in montagna, per ammirare nella notte lo spettacolo dei ruscelletti di lava incandescente e passando fra i vapori delle fumarole. Non vennero solo Re e Imperatori o grandi scrittori come Goethe, Dickens, Shelley, Leopardi e musicisti come Mozart, che ambientando la sua opera “Così fan tutte” a Napoli, fa cantare alla protagonista: “ In questo petto il Vesuvio d’aver mi pare”, per esprimere il fuoco d’amore che la sta divorando, ma anche viaggiatori appassionati di buona famiglia che volevano portarsi un ricordo del viaggio e quindi compravano dipinti, stampe, gouaches, che riproducevano i panorami del Golfo e del Vesuvio o addirittura medaglie di pietra lavica con impresse figure o immagini: souvenir. A metà ‘800 salirono sul Vesuvio più di 7000 escursionisti.
Lo scrittore francese Chateaubriand arrivato sul cratere del Vesuvio, ammirando il mare, il cielo, la montagna e il Golfo disse: “Il Paradiso visto dall’Inferno”.
Un’ascensione particolare fu quella effettuata nella notte fra il 31 dicembre 1899 ed il 1° gennaio 1900, quando un gruppo di escursionisti del Club Alpino Italiano volle salutare, in mezzo al rombo della montagna e a zampilli di fuoco, il nuovo secolo dalla cima del Vesuvio: fra di loro c’era il socio Achille Ratti, il futuro Papa Pio XI, che celebrò messa all’alba nella cappella del Salvatore vicino all’Osservatorio, fondato nel 1841: il più antico al mondo! Illustri Direttori dell’Osservatorio furono, fra gli altri, Luigi Palmieri che inventò nel 1856 il sismografo elettromagnetico, il primo strumento idoneo a rilevare i terremoti e la registrazione dei sismi e Giuseppe Mercalli, che ha inventato la scala per la classificazione dei terremoti.
Per i vecchi Napoletani, con senso forse di rispetto, il Vesuvio era ‘a Muntagna, così come scrive Libero Bovio nella canzone Tu ca’ nun chiagne: “cumme è bella ‘a Muntagna stanotte, bella accussì nun ll’aggio vista maje”.
La stessa famosissima canzone Funiculì, funiculà composta nel 1880 per spingere i viaggiatori, intimoriti dalla novità, a fruire del nuovo mezzo su binari che partiva da Resina (Ercolano) per arrivare comodamente all’Osservatorio, non nomina il Vesuvio, l’innamorato infatti, dice di essere salito “Addò ‘stu core ‘ngrato cchiù dispietto farme nun po’ (farme nun pò), Addò lu fuoco coce, ma si fuje te lassa sta…….Nè jammo da la terra a la muntagna nu passo nc’è”.
Certo la funicolare non ha avuto fortuna sin dal principio, infatti le guide trovavano nella funicolare una concorrente pericolosa e cominciarono a sabotare gli impianti, incendiando una stazione, gettando di lato una carrozza, tanto che il Gestore Thomas Cook cedette alle loro estorsioni riconoscendogli una somma per ogni passeggero trasportato!

Nel 1906 c’è stata la più disastrosa eruzione del secolo XX ed interi paesi furono evacuati. I danni furono talmente rilevanti che il Governo dovette intervenire con grandissime risorse per risollevare un territorio totalmente distrutto e i costi per gli aiuti e la ricostruzione furono così rilevanti che l’Italia, cui erano state assegnate le Olimpiadi del 1908, non potendo affrontare altre spese, dovette rinunciare all’organizzazione dei Giochi che si svolsero a Londra.
L’ultima eruzione è avvenuta nel marzo 1944 quando una colata di lava è scesa con un fronte di 400 metri verso paesi e campagne, distruggendo tutto ciò che trovava sul suo cammino: in questa drammatica situazione si è rivelata utilissima la presenza dell’esercito alleato a Napoli, che intervenne in soccorso con soldati con maschere antigas, con ambulanze, con ogni genere di aiuto, compresi i Bulldozer che sgombrarono le strade dal materiale vulcanico.
Per esprimere solidarietà alla popolazione, così come riportato dal giornale Il Risorgimento del 22 marzo 1944: “Il Re ed il Principe ereditario si recarono a visitare le zone colpite ed in particolare il territorio di San Sebastiano sommerso dalla lava, ma i pochi abitanti rimasti per tentare le loro masserizie gli hanno manifestato una netta ostilità. L’automobile di Vittorio Emanuele fu fatta segno di una fitta sassaiola”.
Il fascino del Vesuvio, però, non ha attratto solo scrittori, poeti e pittori, ma ha richiamato anche l’attenzione del cinema con il film di animazione “Totò Sapore e la magica storia della pizza”, in cui il ragazzo deve lottare con la cattiva strega Vesuvia oppure il mondo dei fumetti con il personaggio disneyano di “Amelia la fattucchiera che ammalia” (sempre a caccia della moneta Numero Uno di Paperone), che abita proprio sul Vesuvio.
Ed anche il primo stadio di calcio, l’unico che è stato proprietà del Napoli, costruito grazie alla generosità dell’industriale Ascarelli nella zona del Rione Luzzatti dietro la Stazione centrale, si chiamò Vesuvio.
Il Vesuvio è considerato apportatore di sofferenze e disgrazie, ma ha anche i suoi effetti positivi per la natura del terreno vulcanico che ha dato a tutta la zona fertilità ai campi, bontà ai vini, qualità ai prodotti dell’area come verdura, pomodori, frutta, quella che una volta si chiamava Campania Felix.
Attorno al Vulcano è sempre rifiorita la vita e l’amenità di quei luoghi boscosi, il fascino del panorama che abbracciava tutto il Golfo, l’interesse per il mondo delle nuove scoperte archeologiche delle vicine Ercolano e Pompei stimolarono Carlo III di Borbone a costruire a Portici una Reggia accanto alla quale i Nobili napoletani edificarono le splendide Ville vesuviane distribuite su quello che è chiamato il Miglio d’oro con tanta storia e tante storie da raccontare.

Sergio Giaquinto, Giurista, già Dirigente Amministrativo della A.O. dei Colli, cultore di Storia e Archeologia.