Violenza di genere e ferite indelebili.

Si definisce violenza contro le donne ogni atto basato sul genere che comporti, o somigli, a un danno o a una sofferenza fisica, sessuale o psicologica inflitta a una donna, incluse le minacce di tali atti, coercizioni o privazioni arbitrarie della libertà, che avvengano sia nella vita pubblica che in quella privata. (Organizzazione delle Nazioni Unite, 1993)

Nel mondo, la violenza di genere interessa 1 donna su 3, e in Italia la situazione non è migliore: dai dati ISTAT emerge che il 31,5% delle donne, durante la propria vita, ha subìto una qualche forma di aggressione fisica e/o verbale.

La violenza fisica comprende le forme di maltrattamento attuate contro la donna e ciò che le appartiene, con lo scopo di sottometterla, mentre quella psicologica include gli atti che mirano a denigrare la donna minandone la dignità e l’autostima. Mentre la violenza fisica è più evidente e feroce, quella psicologica è subdola e silenziosa, ma non per questo fa meno male.

Le forme più gravi di violenza sono spesso commesse da uomini che la vittima conosce: compagni, amici, familiari. Il femminicidio vede il 54,9% delle donne uccise da partner o ex partner, il 24,8% da familiari, l’1,5% da conoscenti.

Nel triennio 2017-2019 gli accessi in Pronto Soccorso da parte di donne con indicazione di subita violenza sono stati 16.140, tuttavia sono numerosissimi i casi che, pur presentando diagnosi ufficiale diversa, sono a essa riconducibili. La donna che arriva in Pronto Soccorso è sconfitta dalla brutalità di un uomo, ma è anche pronta a riprendere in mano la sua vita e a ricominciare: la ribellione all’aggressività e alla prepotenza tra le mura domestiche deriva spesso dalla paura che il compagno possa infierire anche sui figli.

Durante l’emergenza da Covid-19, la violenza perpetuata ai danni delle donne è aumentata in maniera preoccupante ed esponenziale: il ricorso (telefono o chat) al numero antiviolenza (1522) istituito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità è più che raddoppiato nei numeri, rispetto allo stesso periodo (marzo-giugno) dell’anno precedente, con un incremento del + 119,6%. I motivi del fenomeno sono rintracciabili nel tanto, troppo tempo, che le donne sono state costrette a trascorrere chiuse in case con i loro carnefici.

Le teorie che hanno cercato di spiegare le motivazione dell’esistenza della violenza di genere sono parecchie, alcune si sovrappongono, diverse sono state abbandonate, altre non sono mai state elaborate. Se ne citano due, a scopo puramente conoscitivo:

Teoria delle risorse personali: la donna supera l’uomo per competenze professionali, status economico, posizione sociale, e lui reagisce a questo squilibrio cercando di riaffermare la supremazia utilizzando l’arma che gli è più congeniale;

Teoria della vulnerabilità acquisita: sin dalla prima infanzia alle donne viene trasmessa un’immagine che le definisce deboli e passive, incapaci di reagire e prevalere. L’esatto contrario è insegnato ai giovani uomini che, in età adulta, utilizzeranno quanto acquisito nell’infanzia per controllare e affermare la propria supremazia.

Nella realtà dei fatti non esiste alcuna teoria che possa spiegare, e soprattutto giustificare, aggressività, maltrattamenti, prevaricazione, anche se conoscerle potrebbe servire a capire in quali ambiti sarebbe opportuno intervenire per cercare di prevenire e arginare il fenomeno.

I lividi fanno male, alcuni più di altri, e non prevedono pomate miracolose né rimedi in grado di attenuarne il colore, che varia mimetizzandosi in una finta ritrovata quotidianità. Certi lividi non scompaiono, o almeno non per davvero, non del tutto. Una traccia viva, indelebile, dolorante, rimarrà impressa forse per sempre sulle braccia, sulle gambe, sul viso, sul cuore e nel cuore di chi ha subito, inerme, un atto violento. Ma forse la ferita maggiore è la consapevolezza che, a usare forza e predominanza fisica per distruggere e ridurre a un mucchietto di paura e tremore una donna, sia stato quasi sempre proprio qualcuno che fino a poco prima, e forse tra poche ore ancora, l’ha stretta tra le braccia dicendole di amarla più della sua stessa vita.

Rosa Maria Bevilacqua, Sociologa, A.O.R.N. “San Giuseppe Moscati”- Avellino, Delegata alla Sanità ASI (Associazione Sociologi Italiani)

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