I rapporti di coppia, coniugali o di fatto, non sono sempre come nei bei film romantici a lieto fine. Dopo una fase inizialmente idilliaca, con forte coinvolgimento reciproco, spesso compaiono tensioni fra i partner che, in molti casi, degenerano in aggressività verbale e fisica.
Per violenza domestica, così come è stata definita nel 2011 a Istanbul durante Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, all’articolo 3 comma B, è descritta come tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.
La violenza domestica è la più diffusa a livello mondiale, e comporta effetti nocivi a lungo termine sia sulla salute della donna, che su quella dei minori che si trovano costretti ad assistere ripetutamente ad episodi verbalmente e fisicamente cruenti. È esercitata in prevalenza da un partner maschile (marito, partner o ex partner, ma anche nonno, zio o fratello) o comunque fra persone legate da un rapporto familiare o co-abitativo. Va specificato che per domestica si intende la sussistenza di un rapporto intimo fra maltrattante e maltrattato, appartenenti a uno stesso contesto familiare, e non al fatto che debba necessariamente avvenire all’interno dell’abitazione.
Di solito si manifesta in modo aggregato, includendo sia episodi di violenza fisica e sessuale, che altri di tipo psicologico ed economico. Pertanto si presenta sia in modo visibile che invisibile, a seconda della forma eseguita sulla vittima.
I maltrattamenti e gli abusi nei confronti dei minori sono, nella maggior parte dei casi, compiuti all’interno del nucleo familiare, che rappresenta il primo contesto sociale sicuro in cui il bambino agisce e si forma nelle fasi iniziali dello sviluppo. Le conseguenze a tali azioni ledono in maniera significativa il piano psicologico, fisico e dell’identità personale del minore che ne è sottoposto, con riverberi caratteriali ed emulativi che, spesso, sfociano in età adulta in comportamenti simili e criminosi.
La famiglia, oggigiorno, ha perso i valori fondanti etici e formativi, divenendo sempre più un nucleo in continua evoluzione e disgregazione.
Non vanno considerati i soli maltrattamenti e abusi subiti, in quanto tali conseguenze si riscontrano anche nel caso in cui il minore si sia trovato, per curiosità o casualità, a testimoniare involontariamente ciò che accadeva in famiglia, ai danni della madre, di un fratellino o sorellina, in quella che è definita violenza assistita da minori in ambito familiaree che il CISMAI, Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia, descrive così:
Per violenza assistita intrafamiliare si intende l’esperire da parte del bambino/a qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte o minori. Il bambino può farne esperienza direttamente (quando essa avviene nel suo campo percettivo) indirettamente (quando il minore è a conoscenza della violenza) e/o percependone gli effetti. Si include l’assistere a violenze di minori su altri minori e/o su altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti ai danni di animali domestici.
Si tratta quindi di assistere involontariamente non solo ad atti di violenza fisica, ma anche l’ascoltare urla e grida, minacce, imprecazioni, sentire il rumore e constatare la distruzione di piatti o altri oggetti rotti, di vedere sul corpo di chi la subisce le conseguenze quali lividi, ematomi, bruciature, l’essere a conoscenza di ospedalizzazioni dopo gli accadimenti violenti, di percepire lo stato depressivo, ansioso, di preoccupazione e terrore del parente-vittima, trasformando la famiglia da ambiente protettivo, di sicurezza, riparo, in un luogo in cui la propria vita è messa di frequente in pericolo.

Questa violenza silenziosa rende i minori vittime invisibili, con segni non presenti sul corpo ma pesanti esiti traumatici per la loro evoluzione psicologica, emotiva ed esistenziale su chi la assiste, in quanto ne è comunque coinvolto, e non solo su chi la subisce in prima persona, con conseguenze gravi quali ritardi nello sviluppo cognitivo e fisico, incapacità di relazionarsi coi coetanei, depressione, perdita a assenza di autostima, ansia, paura e immotivati sensi di colpa.
I bambini che assistono alla violenza del padre nei confronti della madre hanno maggiore probabilità, da adulti, di essere loro stessi autori di violenza sulla partner e, per le bambine, di esserne vittima da grandi. Nel caso in cui siano i fratelli ad essere vittimizzati le conseguenze per il minore che assiste sono comunque significative e destabilizzanti, in quanto l’identificazione fra pari è decisamente più immediata rispetto a quella percepita con il genitore.
I minori che assistono a episodi di violenza intrafamiliare manifestano frequentemente, fra le varie conseguenze, forti sensi di colpa, che li può indurre o a comportamenti vendicativi violenti verso l’abusante, dall’aggressione all’omicidio, o alla provocazione e istigazione per subire in prima persona gli atti violenti perpetrati sul familiare, in particolare se condotti su fratelli o sorelle.
Tale ripetuta ciclicità, se assistita dai figli, ha due connotazioni negative sul minore: ne mina il percorso di sviluppo psicologico dando adito a emozioni negative quali ansia, angoscia, paura, rabbia, disgusto e disprezzo e, come detto, può rappresentare un modello genitoriale di riferimento in quanto ripetuto nel tempo che, in età adulta con la nascita di relazioni amorose, può essere emulato, in maniera ancora più estrema, arrivando anche all’omicidio.

Le conseguenze a lungo termine della violenza assistita sfociano nel PTSD, ovvero nel disturbo da stress post traumatico, che si manifesta con sintomi quali difficoltà nel regolare le emozioni e perdita di autocontrollo: depressione, scatti d’ira, isolamento, solitudine, ansia, incubi, somatizzazioni e disturbi dissociativi con alterazione della coscienza, memoria, percezione, realtà.
Diversi autori, in base ai danni provocati dalla violenza assistita, l’hanno inserita nel variegato complesso del maltrattamento psicologico che compromette sia lo sviluppo fisico con difficoltà nella crescita, che psicologico, con disturbi dell’alimentazione, del linguaggio, delle capacità cognitive, perdita di empatia e di socializzazione, ed evidenti ripercussioni in ambito scolastico.
La reazione dei bambini nei confronti della violenza intrafamiliare sfocia di frequente in un atteggiamento iperprotettivo anacronistico in base alla loro età nei confronti della vittima. Induce il minore a un comportamento da adulto, a dire bugie per evitare ulteriori maltrattamenti, ad aver paura di uscire da casa per non lasciare la vittima sola, non potendola così proteggerla.

Carlo Negri, esperto di marketing farmaceutico e comunicazione in Sanità.