Voglio essere sempre felice ovvero dell’Analfabetismo emotivo

All’interno dell’universo fumettistico DC Comics viene creato un pantheon di entità emozionali che sono le incarnazioni fantastiche delle emozioni all’interno di un immaginifico Spettro emozionale.

Secondo il personaggio Indaco-1, l’Universo una volta era avvolto in un’oscurità senza fine, finché un giorno – fiat lux! -, una luce bianca e splendente respinse un caos nero e buio, e illuminò il cosmo. Quando ritornò in forza l’oscurità del caos, la bianca luce fu frammentata nei sette colori dell’arcobaleno che costituirono lo Spettro Emozionale; da allora, ciascun essere nato dalla luce contribuì allo Spettro, che divenne poi una fonte di potere per quelle Organizzazioni che indossano un anello del potere.

Secondo il modello di Geoff Johns – sviluppatore nella DC -, lo Spettro emozionale costituito dall’arcobaleno, contiene uno stato emozionale per ciascun colore: la rabbia è il rosso, l’avarizia è arancione, la paura gialla, la volontà verde, la speranza blu, la compassione indaco, l’amore viola.

Amore e Rabbia, le due emozioni poste agli estremi dello Spettro, hanno il maggior potere ed effetto sui propri utilizzatori. Secondo Johns, l’amore è l’emozione più pura, ma è anche <<potente e distorcente quanto la rabbia>>; la rabbia, a sua volta, rappresenta un’emozione strettamente correlata all’istinto primario di sopravvivenza, quello del tipo: combatti o muori. Sarebbe sbagliato ritenere negative le emozioni poste al lato disconfortable dello spettro emotivo, poiché queste emozioni – sebbene travolgenti e scomode, se utilizzate correttamente, non sono negative bensì utili e talora necessarie per perseguire e magari raggiungere specifici e importanti obiettivi, tanto di sopravvivenza, tanto anche di umanizzazione del tessuto ecologico e di umwelt umano.

. Johns ha descritto la Volontà – emozione posta nel centro dello Spettro -, come quello skill in grado di far mantenere il controllo sulle emozioni, e come quella dote in grado di far crescere l’individuo come persona; e io aggiungo, come quell’attitudine coltivata con l’impegno indefesso diessere umano che ama gli altri esseri umani e la vita, e che sa rispettare, inchinarsi e combattere il dolore dell’esistenza…

Nel gioco di ruolo Pathfinder, la capacità dei giocatori di saper vedere lo Spettro Emotivo che si disegna come aura intorno ai personaggi, fornisce una capacità di comprensione impareggiabile delle condizioni altrui.

Lo psicologo Robert Plutchik ha creato un modello, chiamato la ruota delle emozioni di Plutchik, basato su otto emozioni di base (ciascuna con un proprio determinato e importante ruolo fisiologico) che possono combinarsi variamente tra loro in emozioni secondarie e terziarie, a formare ordito e trama della nostra vita affettiva. Il modello sviluppato da Plutchik può aiutare a portare chiarezza in quelle che per molti sono misteriosi e travolgenti stati emozionali interni, che variamente si manifestano nel modo in cui ciascuno di noi sta al mondo (con gli altri e con sé stesso).

Nella ruota di Plutchik, le emozioni primarie sono: rabbia, aspettativa, gioia, fiducia, paura, sorpresa, tristezza e disgusto.

Secondo una concezione – che a ben vedere si rifà alla tradizione aristotelica e semiologica dei quadrati semiotici – agli antipodi della ruota (ma una ruota può avere antipodi?) ci sono le polarità contrarie, che si fondano sulla reazione fisiologica che ciascuna emozione crea negli esseri viventi (Plutchik studiò gli animali, e l’uomo fa parte dello stesso regno, seppur con differenze specifiche che vanno però coltivate con la ferma volontà!). Così: la gioia è l’opposto della tristezza, e l’una rappresenta la connessione, e l’altra l’allontanamento; la paura è l’opposto della rabbia, e l’una rappresenta la strategia di sopravvivenza e coping che possiamo sintetizzare nel diventa piccolo e nasconditi, mentre l’altra il diventa grande e rumoroso; l’aspettativa è l’opposto della sorpresa, e l’una rappresenta l’avvicinarsi per esaminare (la strategia della tigre, come io la chiamo), mentre l’altra il saltare indietro e studiare d’appresso  (la strategia del gatto, come io la chiamo); il disgusto è l’opposto della fiducia, e l’una rappresenta il rifiuto, mentre l’altra rappresenta l’accoglienza.

Le combinazioni di emozioni primarie rappresentano un’emozione secondaria che è un mix delle due primitive; le emozioni terziarie sono una combinazione di tre emozioni (o di secondarie?); ovviamente, andando oltre il modello di Plutchik, possiamo immaginare modelli complessi e multidimensionali in cui emozioni complesse sono come un cocktail di emozioni mixate con emozioni d’ordine inferiore, pari e superiori, variamente combinate tra loro…

Perciò, è facile intuire come le emozioni siano un quid complesso; e potrà ora apparire chiaro come l’essere in grado di riconoscerle – singolarmente e nelle loro combinazioni di tipi e dosaggi – è un’arte/esercizio/sforzo/lavoro/impegno a cui tutti dovremmo essere iniziati e educati, per un nostro benessere emotivo/affettivo, oltre che per una curiosità e un philein – gnoseologico oltre che ontologico -, che può coltivare qualcuno tra noi umani.

Nel 2012 Jaak Panksepp e Lucy Biven hanno pubblicato un lavoro, tradotto in italiano nel 2014: Archeologia della Mente. Origini neuroevolutive delle emozioni umane. L’opera rappresenta un viaggio – intrapreso con l’armamentario neuroscientifico – nella biologia dell’affettività e delle emozioni. I Nostri autori hanno identificato sette aree/circuiti cerebrali (che presiedono a sette bisogni di base che sentiamo in maniera naturale, automatica e irriflessiva e sui quali ciascuno di noi fa i conti e monta la propria vita cosciente e autocosciente) e sette sistemi affettivi di base: ricerca, paura, collera, desiderio sessuale, cura, sofferenza, gioco.

Come uno smartphone che esca dalla casa produttrice già dotato di alcune app di base, così anche il nostro cervello si presenta alla nascita con delle aree ben definite e individuate – dotate di network specifici – e deputate a fornirci gli strumenti di base essenziali per tentare la sopravvivenza, e la scalata e il successo evolutivo, in un ambiente complesso, duro e difficile; su tale armamentario di base, ciascuno di noi – grazie alle funzioni cerebrali superiori – può tentare di sviluppare (con l’uso della volontà e della ragione) la propria equazione esistenziale, utilizzando (talora assecondando, talaltra contrastando quelle pulsioni di base) quelle app cerebrali (Neuroapp) con cui usciamo dotati dall’utero materno. Così, ciascuno di noi (così come tutte le altre specie animali con un certo grado di sviluppo, e in ciò siamo accomunati a rettili, uccelli e altri mammiferi) possiede specifici circuiti cerebrali deputati ai seguenti bisogni: esplorazione e ricerca; innesco della paura per fronteggiare pericoli potenziali o in atto, presenti nell’ambiente e nelle interazioni sociali; rabbia e collera di fronte a task che presentano contrasti e ostacoli; desiderio sessuale al fine della continuità della specie; accudimento e cura per difendere i nostri prossimi significativi e consentire ancora la continuità in una versione oggi ammodernata dell’antico e non scomparso blood feud; contrasto del senso di abbandono (attraverso l’innesco di sequenze psico-comportamentali che determinano uno stato di sofferenza, di tristezza e di panico) per coalizzarci in sistemi sociali e scambiarci aiuto; interazione attraverso il gioco, per sviluppare le competenze sociali di interazione e collocazione sociale all’interno di un gruppo non paritario. I sistemi affettivi qui individuati sono spiegati dagli autori nel loro funzionamento, nella loro localizzazione neurale e nella loro origine evolutiva, e in definitiva, il lavoro di Panksepp e Biven, offre una tassonomia evolutiva delle emozioni e degli affetti basata sul metodo scentifico sperimentale, e stabilisce la loro collocazione circuitale nella neuroarchitettura cerebrale. Grazie a questo genere di ricerca neuroscientifica, oggi cominciamo a comprendere come interagiscano tra loro i sistemi emotivi/affettivi, e come gli stessi interagiscano con le funzioni cerebrali superiori (quelle che ci rendono consapevoli e autocoscienti); questo genere di ricerca scientifica mira altresì a comprendere come si possano padroneggiare e integrare le varie funzioni vitali determinate e coordinate dai sistemi cerebrali, e in quale maggiore o minore misura ci si debba invece rassegnare a un grado di incontrollabilità emotiva e affettiva, in parte universalmente determinata per tutti gli esseri umani per costituzione, e in parte specifica per ciascuno di noi singolarmente considerato. I nostri ritengono che le antiche regioni sottocorticali del cervello dei mammiferi contengano almeno sette sistemi affettivi di base (della ricerca/attesa, della paura/ansia, della collera/rabbia, del desiderio sessuale/eccitazione, della cura/accudimento, del panico-sofferenza/tristezza, e del gioco/gioia sociale) che determinano i processi primari, e spiegano come da questi si possa passare a quelli secondari e terziari. I primi, si riferiscono alle attività neuronali di base espresse dalle antiche strutture cerebrali da cui hanno origine le emozioni di processo primario grezze e istintive, mentre i processi secondari (ancora inconsci) sono i prodotti delle modificazioni neurali innescate dal contatto con l’ambiente (come ad esempio il condizionamento alla paura); infine, i processi terziari codificati dalla neocorteccia che si esprimono con le funzioni cognitive e riflessive (che comprendono la neurocomputazione dei sentimenti più complessi, come la cognizione e i pensieri che permettono di riflettere su ciò che è stato appreso dalle esperienze vissute e di modificare eventualmente le proprie risposte a determinati stimoli). Così, mentre i sentimenti di base sono degli strumenti innati e fondamentali per vivere, le emozioni di livello superiore (quali per esempio orgoglio, vergogna, senso di colpa, etc.) sono delle articolazioni complesse dei sentimenti di base, grazie a cui possiamo agire nuove modalità di interazione col mondo, e possiamo manifestare la nostra peculiare e singolare personalità. Infatti, l’ipotesi centrale degli autori è che le emozioni umane di ordine superiore poggiano le loro fondamenta sull’antico terreno neuronale da cui sorgono gli affetti di processo primario, e che l’apparato mentale superiore se ben controllato e allenato, può permetterci di essere padroni delle nostre proprie passioni.

Da tutto quanto abbiano su premesso, l’educazione emotiva dovrebbe apparire importante ed essenziale principalmente a quanti si dichiarano interessati alle emozioni proprie e altrui, eppure ritengono semplicisticamente e in maniera riduttiva che la felicità/gioia sia l’unica emozione da perseguire e mantenere nella propria vita (spesso appiattendo o distruggendo – con tale ingenua ignoranza biologica e fisiologica -, la propria stessa vita e quella degli altri, in una vana ricerca di un Eldorado non concesso agli uomini, per loro sostanza e natura!).

Essendo la nostra vita affettiva un complesso cocktail emotivo (e volitivo), a questo punto può apparire chiaro come le emozioni abbiano anche una intensità; ad esempio, la rabbia al suo nadir è fastidio, mentre diventa collera al suo zenit (e in quanti dei miei “venticinque lettori” – con questo pezzo -, proveranno rabbia e collera, e in quanti – invece – gioia e felicità…).

Due delle prime regole da imparare in una buona scuola di educazione emotiva – utile a saper nominare, riconoscere e navigare le emozioni proprie e quelle altrui -, sono: che c’è una sequenza fissa con cui le emozioni si susseguono (e questo già Aristotele e Giordano Bruno avevano invano provato ad insegnarcelo!), e poi che – se lasciate senza il controllo della volontà -, le emozioni possono intensificarsi e portare ad escalation non volute e caotiche (talora distruttive, talaltra fondative e costruttive!).

La ruota delle emozioni di Plutchik può essere un valido ausilio e incipit per l’alfabetizzazione emotiva, e quindi per comprendere come avere e riconoscere nomi e parole che definiscano le emozioni proprie ed altrui, ma anche per saper apprezzare come le diverse emozioni siano in relazione tra loro e come tendano a modificarsi nel tempo ed evolvere l’una nell’altra e l’altra nell’una.

Ma alfabetizzarsi emotivamente, senza al contempo comprendere che tutte le emozioni dello spettro affettivo umano hanno un ruolo principalmente fisiologico, e solo – più raramente e marginalmente -, patologico, significa ritenere negativo ciò che invero non lo è, e così, rischiare di creare una marea montante di nuovi malati, in una rinnovata, triste e malevola sceneggiatura della vita, che a me ricorda “Knock ovvero il trionfo della medicina”. Invero, se teniamo le coordinate delle emozioni polarizzate senza comprenderne il significato vitale e di fitness, direi addirittura che ci stiamo avviando verso il trionfo della patologia…; infatti, nella opera teatrale di Jules Romains (qualcuno ricorderà il bel film in bianco&nero) del 1923, viene descritto un processo sofistico in cui una cittadina viene trasformata in una clinica grazie all’ignoranza e alle arti oratorie della persuasione…

Noi, oggi, siamo in una condizione in cui la mancanza di educazione emotiva e l’ignoranza assoluta (se si eccettui la erudizione o sapienza degli addetti ai lavori e dei cultori di neuroscienze) nelle basi biologiche e fisiologiche dei principali circuiti neurobiologici affettivi umani, ci hanno condotti nel non-luogo abissale e paludoso in cui (non una cittadina, ma l’intera Terra) è stata trasformata in una clinica ove gli abitanti – agli occhi della doxa -, sono tutti diventati pazienti degni di cure mediche, psichiatriche e psicologiche.

Mi riferisco all’utopia della spasmodica ricerca della assoluta e permanente felicità e gioia.

Penso a maestri spirituali – e subito mi viene in mente Paramhansa Yogananda (che ha avviato questa mia breve riflessione sulle competenze emotive e sul significato bio-fisiologico delle emozioni umane e animali) -, e a tanti altri, che (magari sicuramente in buona fede) hanno raccolto fedeli e religiosi proseliti nel mondo, grazie a ricette e formule utili per raggiungere la felicità eterna su questa Terra!

Voglio fare qualche esempio perché non mi si fraintenda.

Penso a frasi come: il male è l’assenza di vera gioia, e sento emergere dentro di me delle emozioni contrastanti a cui cerco di dare nome: sono di primo acchito contro il male e a favore della gioia, e sono amico e fautore dell’umanesimo e così, sempre di primo acchito, ho anche fiducia verso le sagome umane; ma insieme a questi sentimenti subito ne sento emergere pure degli altri; sono questi altri sentimenti all’opposto dello spettro rispetto alla gioia e alla fiducia: è perché in quelle parole (male, assenza, gioia vera) così collegate insieme, ci vedo anche la possibilità di un male infinito, se dovessero finire nelle mani sbagliate (o meglio: nella mente incarnata sbagliata …).

La mia avversione ad accettare un’asserzione del tipo il male è l’assenza di vera gioia, nasce proprio dal fatto che la mia mente ha subito sentito il pericolo e si è messa in allerta poiché ha individuato almeno un esempio di quelle mani sbagliate. Infatti, leggendo quella frase dalle buone intenzioni, la mia mente ha però individuato una classe di casi in cui quella stessa frase nasconde un grande pericolo per l’umanità. Ho cercato un collegamento mentale tra quella frase e alcune sue possibili applicazioni perniciose. Ho subito pensato a un film uscito in questo nostro 2023: Sound of freedom di Alejandro Monteverde, dove viene narrata la storia di un povero padre a cui sono stati rapiti i figli per essere venduti come schiavi del sesso, e di un ex agente governativo USA, che eroicamente lotta contro il traffico di esseri umani in Colombia.

Mettendo i piedi per terra e facendo il mio dovuto “bagno nella realtà”, mi ricordo che tra gli esseri umani si nascondono anche (parafrasando il grande Ingmar Bergman e i suoi Antropofagi) mangiatori di uomini! E allora, non posso non pensare a quanto sia giustificabile, e benvenuta per l’anima mia infelice e tigresca, il provare quello zenit e climax della rabbia che mi induce a respingere e cacciare dal consesso umano esseri come i serial killer o i pedofili o altri tipi di mangiatori d’uomini, che nella propria malattia vera, provano il sentimento della gioia nel condurre le proprie immonde azioni contro l’umanità.

È così, che mi accorgo che ho ormai un’età cosmica in cui la mia anima è maturata o invecchiata al punto da ritenere che non sia vero per tutti e in assoluto che tutti vogliamo la felicità nella pace, gioia e serenità.

Ritengo che sia un bene (bene che potrebbe essere declinato come felicità) che ci siano uomini che, senza pace e senza gioia né tregua, si battano per l’umanizzazione della vita, e uomini che – con occhi di cane e cuore di lupo -, senza pace e senza tregua siano a questo mondo per dare la caccia ai mangiatori d’uomini.

Credo che il tutti vogliamo la felicità debba essere declinato come una tensione del pensiero e dell’azione umana, piuttosto che come uno stato stazionario in cui trascorrere il proprio tempo come su un vascello perso immobile nella bonaccia del fiume Lete; credo che la vita di questi uomini accompagnati in quest’esistenza dal proprio daimon che li rende al contempo guerrieri e gentili, sia un bene per l’umanità. Infatti, questi esseri umani (uomini e donne) che seguono la nobile via del guerriero, piuttosto che quella della felicità, completano un quadrato semiotico che, se monco, ci condurrà alla distruzione dell’umanità, in questo tempo che è il Kali Yuga dell’essere umano, illuso dai falsi miraggi della pace della serenità della gioia e della felicità (di quelle emozioni che occupano un solo lato dello spettro, e che sono dai più pretese e volute senza voler pagare il dovuto pegno di sforzo, sofferenza e dolore); sono questi, quegli uomini che – come in un racconto zen a me caro -, in pochi vogliono fori della porta di casa in tempi di pace ma che invece tutti vorrebbero alla propria porta in tempi di guerra…

Allora, nel riconoscimento della importanza di tutte le espressioni delle emozioni umane, debitamente e indefessamente governate dalla volontà e dalla ragione, c’è anche chi – come me e la sparuta schiatta dei miei amici d’anima -, desidera la pienezza del proprio essere che si realizzi anche attraverso il fuoco che brucia l’anima al servizio della umanizzazione della vita, e anche attraverso la sofferenza del provare a condurre (spesso infruttuosamente!) l’umanità fuori dalle paludi dell’ignoranza e fuori dai mali e dalle sofferenze non necessarie a quel modo di essere umani a cui alcuni di noi ancora anelano!

Ci sono quelli, come me, che con l’orgoglio di essere un umano, dicono ancora che no, non siamo tutti uguali per filo e per segno, e che la gioia e la felicità possono essere parte di un buon cocktail ma non l’unico ingrediente di un buon cocktail!

Sono di quelli che dicono che il buon senso può essere una buona linea guida iscritta nel nostro DNA, ad uso e consumo per chi – non volendosi impegnare in quella via socratica virtuosa e difficile e sofferta della conoscenza dell’ignoranza propria e nostra – non voglia trovarsi a giustificare suo malgrado esseri spregevoli come i pedofili e i serial killer e tutta quella schiatta varia di antropofagi che odiano l’umanità.

Beniamino Casale, responsabile IPAS Terapie Molecolari e Immunologiche in Oncologia – AO dei Colli – Ospedale Monaldi.

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